Visualizzazioni totali

martedì 29 giugno 2010

CAPITOLO 3- VIOLA GAMBON


L'agente Cartbury si era svegliato di soprassalto nel suo letto: sudava copiosamente e per tutte le poche ore in cui era riuscito a dormire non aveva fatto altro che sognare l'uomo con il proiettile nell'occhio. Lo fissava e commentava, con voce fredda e non umana: "La sua corsa è buona almeno quanto la sua mira, agente". Come poteva essere? Com'era possibile che quell'uomo fosse ancora vivo? Eppure era certo di non avere sognato: l'aveva visto davvero, sapeva di averlo visto. Lo sceriffo non aveva fatto ulteriori domande al giovane, ma era certo che qualcosa era successo. Cartbury scese dal letto e si diresse al piano inferiore; era a West Coburn solo da tre anni ma già prima del suo arrivo aveva trovato il modo di affittare la tranquilla villetta in cui viveva ora ad un ottimo prezzo: viveva da solo, è vero, ma gli piaceva avere spazio e poteva permettersi quella casa dal momento che la sua famiglia era ricca. 'Già' pensò 'I miei sono ricchi e non volevano che finissi qui, a fare l'agente'. A dire il vero i suoi genitori si erano opposti fermamente alla sua volontà di entrare in polizia, ma non avevano fatto nulla di concreto per fermarlo, anche se avevano minacciato di tagliargli i fondi. A lui non era importato ed anzi aveva continuato a tentare e ad impegnarsi fino a che non era diventato agente; a quel punto i suoi genitori avevano messo da parte l'orgoglio e avevano accettato a malincuore la sua decisione. Era stato anche grazie al loro aiuto se era riuscito ad ottenere il trasferimento a West Coburn dopo l'orribile incidente di cui si era reso responsabile a Philadelphia: suo padre aveva oliato qualche ingranaggio per evitargli il peggio e gli aveva dato denaro sufficiente a mantenersi da solo.
Nei tre anni che aveva passato a West Coburn aveva sempre cercato di allontanare il suo passato, anche se tornava a tormentarlo nei ricordi. Negli ultimi mesi, tuttavia, era quasi riuscito a perdonarsi per quello che aveva fatto e forse avrebbe potuto tornare ad essere sereno se non avesse visto quello che aveva visto quel pomeriggio. Entrò in cucina e prese una coca da frigo: la bevve d'un fiato, senza badare alle bollicine ghiacciate che gli ferivano la gola come lamette. Ruttò silenziosamente e si appoggiò con la schiena al pianale della cucina, cercando di pensare ad altro, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. All'improvviso sentì un rumore strano, come se qualcosa stesse grattando contro la porta d'ingresso: sussultò leggermente e andò a controllare; il rumore aumentava sempre di più. Cartbury si avvicinò alla cassettiera del salotto e aprì il primo cassetto: afferrò la pistola -non quella d'ordinanza, ma una Glock che gli aveva lasciato suo nonno in eredità- e si avvicinò all'ingresso con la mano che tremava. Ora che era davanti alla porta d'entrata sentiva un altro rumore che si era aggiunto al continuo raspare: era come una sorta di rantolo soffocato, quasi catarroso; girò lentamente la maniglia, pronto a sparare. Aprì la porta di scatto e non appena vide quello che aveva davanti premette il grilletto urlando terrorizzato.
La pistola esplose tre colpi: tutti e tre centrarono l'uomo con il foro di proiettile nell'occhio ma non sembrarono scalfirlo, anzi parvero venire ingoiati dal suo corpo per poi sparirvi dentro senza lasciare tracce, come se fosse fatto di gelatina viscida. Cartbury fece un passo indietro e cadde sdraiato dentro casa, sempre con gli occhi puntati sull'uomo che aveva di fronte: era la stessa persona che aveva visto quel pomeriggio, con un foro di proiettile sanguinante al posto dell'occhio destro. Un rivolo di sangue colava con disgustosa lentezza dalla ferita, che sembrava fresca, e una macchia rossastra e rappresa macchiava la polo azzurra che l'uomo indossava; guardando Cartbury a terra con l'occhio buono avanzò ed entrò in casa, chiudendo la porta.
"Tu..." boccheggiò Cartbury quasi in lacrime, mentre si rialzava "Cosa diavolo sei?" ebbe il coraggio di gridare. La pistola a quanto pare non serviva a nulla: l'agente ripensò a come i proiettili lo avevano colpito senza arrecare alcun danno.
"Agente Cartbury" esordì l'uomo, parlando con una voce decisamente non umana, come se fosse contraffatta "Non ha nulla da temere. Vede, potrei ucciderla semplicemente sfondandole la trachea con questo mio dito" continuò, mostrando l'indice della mano destra "Ma se lo facessi poi non potrei più chiederle un favore di cui ho un gran bisogno".
"Un favore?" mormorò Cartbury, terrorizzato. Quell'uomo era morto. Morto!
"Oggi pomeriggio avete trovato il corpo di un ragazzo. E mentre giocavate a fare i bravi detective a West Coburn è arrivato uno straniero. Qui entra in gioco lei, agente".
"Non capisco" disse Cartbury. Stava sognando. Doveva essere così. Voleva che fosse così.
"Poco fa è stata uccisa un'altra persona nello stesso luogo in cui avete trovato il giovane Turner. Salga in macchina e vada là. Io verrò con lei" e sorrise, strabuzzando leggermente l'occhio sinistro, mentre il foro nel destro si dilatò facendo colare altro sangue nerastro.
"cosa? Io non posso, io..." cercò di dire Cartbury ma non appena l'altro capì che non aveva intenzione di aiutarlo lo afferrò alla gola e successe una cosa strana: all'improvviso la sua mente si rilassò e non riusciva più a sentirsi preoccupato. sapeva solo di dover salire in macchina assieme al suo amico senza un occhio: tutto andava bene, si sentiva contento e desideroso di ubbidire.
"Certo, amico" disse Cartbury con un sorriso ebete stampato in volto "Andiamo là".
"Bene. Deve far sparire il corpo , agente. Non vogliamo che lo sceriffo ne trovi un altro morto, vero? Altrimenti lo Straniero potrebbe allarmarsi e noi questo non lo vogliamo". disse l'uomo lasciando la presa sull'agente.
"Certo. Lo Straniero ci serve" rispose cartbury, ormai soggiogato.
"Esatto: ci serve. Ora andiamo, agente" e insieme si avviarono verso l'auto parcheggiata nel vialetto. Cartbury salì in auto, felice di avere il suo nuovo amico accanto a se. Gli spari di poco prima non avevano svegliato nessuno, ma se così fosse stato chiunque avesse visto la scena si sarebbe accorto che l'agente Cartbury era da solo nell'auto mentre partiva.


Il mattino seguente lo sceriffo Gambon si era svegliato di buon ora e aveva deciso di non fare colazione a casa, così si era recato alla tavola calda di Spike, in centro: facevano un ottimo caffè e conosceva Spike da una vita, avrebbe fatto quattro chiacchiere con lui prima di fare quello che non avrebbe mai voluto fare. Quando il giorno prima lui e Cartbury avevano rinvenuto il corpo di Pat Turner aveva pensato a come dare la notizia ai genitori del ragazzo. Al momento del ritrovamento si trovavano fuori città, ma sarebbero tornati entro poche ore; così Gambon quella mattina avrebbe dovuto bussare alla loro porta e forse li avrebbe trovati ancora intenti a disfare i bagagli perchè erano tornati da poco dalle vacanze e non avevano trovato strano il fatto che loro figlio non fosse in casa: spesso non tornava per dormire. Ma questa volta avrebbe dovuto dirgli che il loro unico figlio non sarebbe tornato a casa mai più ed era un'idea che detestava, visto che conosceva Susan e James da sempre; avrebbe voluto portare Cartbury con lui, ma il ragazzo non si era fatto vivo in centrale e non rispondeva alle chiamate. Doveva essere davvero sconvolto per qualcosa che era successo il giorno prima: aveva intenzione di vederci più chiaro, ma se il giovane al momento era ancora sotto shock allora non voleva obbligarlo a prendere servizio, almeno per quel giorno. Una cosa lo lasciava perplesso: era passato davanti alla casa dell'agente e aveva notato che la sua auto non era posteggiata nel vialetto come al solito. Dove diamine era andato a finire?
Dal momento che Cartbury non si era presentato aveva chiesto a Viola di andare con lui dai Turner e le aveva dato appuntamento alla tavola calda per le dieci e mezza.
Mancava ancora qualche minuto all'ora stabilita e Gambon sedeva su un alto sgabello davanti al bancone, sorseggiando il suo caffè; stava pensando alla serie di impronte sconosciuta che compariva dal nulla e si affiancava a quelle lasciate dal giovane Turner: di chi diavolo erano e perchè comparivano all'improvviso? Mentre pensava a tutta la faccenda, che incominciava a preoccuparlo, notò un uomo alto, con i capelli biondi leggermente radi e due occhi azzurri e penetranti che si sedette a fianco a lui. Aveva certamente meno di quarant'anni e aveva un viso segnato da profonde rughe di stanchezza, ma tutto sommato poteva essere considerato un bell'uomo, anche se aveva gli occhi colmi di tristezza. Ordinò anche lui un caffè e incrociò lo sguardo di Gambon, il quale tese una mano verso lo sconosciuto e si presentò: "Buongiorno. Lei non mi conosce, io mi chiamo Hannibal Gambon. Sono lo sceriffo di West Coburn".
L'uomo strinse la mano di Gambon e disse: "Molto piacere. Mi chiamo Joseph. Joseph Blonde".
"Il piacere è mio. Non l'ho mai vista nei dintorni, è di passaggio?" chiese educatamente Gambon. Non sapeva perchè ma quell'uomo lo incuriosiva.
"No, in verità ho accettato la cattedra di Lettere al liceo locale" rispose Joseph.
"Ah allora è il nuovo professore che aspettavamo!" esclamò Gambon allegro "Caro Joseph sono lieto di darle il benvenuto qui a west Coburn. Le piacerà se ama..." ma Joseph finì la frase per lui.
"... i posti tranquilli. Lo so, me lo ha già detto un tale che ho conosciuto ieri sul treno".
"Ha già fatto la conoscenza di qualcuno del posto?" domandò lo sceriffo.
"Un uomo molto gradevole, Langstorm" fece una pausa "E un altro tizio a dir poco snervante, un tale di nome Criswell".
"Ah non ci faccia caso" ribattè Gambon "Langstorm è un po' suonato, ma è un tipo a posto. In quanto a Criswell... beh è semplicemente odioso".
"A dir poco" sorrise Joseph "Ma mi chiami pure Jo".
"D'accordo, Jo. Ha già fatto un giro qui intorno?".
"Non ancora, ma contavo di farlo oggi pomeriggio. Per il momento voglio godermi un po' della vostra tranquillità".
"Di quella ne avrà finchè vuole" disse Gambon, ma mentre diceva questo gli venne in mente il viso senza vita di Pat Turner e gli si strinse il cuore.
Chiacchierarono ancora qualche minuto, parlando del più e del meno, quando lo sguardo di Joseph si posò sulla persona che era appena entrata nel locale. A poca distanza da lui e lo sceriffo, immobile, stava una ragazza stupenda e il tempo sembrò bloccarsi: era alta, con i capelli neri lunghi, fluenti e leggermente mossi; il naso era grazioso, all'insù e tempestato di lentiggini, ma furono gli occhi a colpirlo: erano splendidi, con un taglio come due gocce orizzontali in cui erano incastonate due gemme castano scuro, due occhi profondi e penetranti che si guardavano intorno come a cercare qualcosa o qualcuno. Aveva la pelle chiara, il che faceva risaltare le lentiggini e le sopracciglia arcuate e perfette, ma Joseph stava già guardando le sue labbra, al momento leggermente arricciate e piegate in una sorta di sorriso, appena spostato verso destra: dovevano essere straordinariamente morbide, pensò. Indossava un paio di jeans blu e una maglietta a righe rosse e bianche, leggermente attillata e che metteva in risalto le forme morbide dei fianchi e dei seni; il tutto era completato dal paio di occhiali con la montatura in plastica trasparente che indossava, con le lenti rettangolari: l'effetto complessivo era incredibile. Lo sguardo di Joseph indugiò sull'ovale del viso e sul suo mento delizioso, sulle mani sottili e sulle unghie smaltate di nero, cosa che non le dava assolutamente un aspetto dark, anzi. Joseph deglutì e si rese conto che lo sceriffo lo stava guardando, sembrava che volesse dirgli qualcosa ma non fece in tempo: la ragazza lo chiamò e si avvicinò. Joseph era sbalordito: guardava lo sceriffo e vedeva un uomo che aveva oltrepassato i sessanta, con i capelli ormai ingrigiti e il viso devastato da anni di preoccupazioni, una maschera di rughe; non era un brutto uomo, se si guardava l'età, ma Joseph non poteva credere che la ragazza che lo aveva appena folgorato lo avesse chiamato 'papà'. Aveva capito bene? Era certo di averla sentita chiamare 'papà' guardando lo sceriffo, non poteva essere. Ma quando lei si avvicinò a Gambon e gli stampò un bacio sulla guancia dovette ricredersi: ora che lo guardava meglio, lo sceriffo aveva lo stesso naso e gli stessi zigomi alti che aveva lei.
"Jo" disse Gambon "Ti presento mia figlia Viola". Lei lo fissò e gli piantò addossò quei suoi occhi così vivi: lo stava esaminando.
"Molto lieto" farfugliò Jo, guardandola e cercando di non sentirsi a disagio. Sentiva il profumo di lei invadergli i polmoni: era dolce e sensuale, poteva quasi sentirne il sapore.
"Piacere. Come le ha già detto mio padre io sono Viola. Lei è nuovo di qui vero?".
'Voce calda, bel fisico, assolutamente splendida' pensò Jo. "Si, sono il nuovo insegnante di lettere al liceo locale" rispose.
"Oh" disse lei sorpresa "Allora ci incontreremo spesso".
"Prego?" domandò Jo confuso.
"Viola è psicologa e tre volte alla settimana lavora come consulente presso i ragazzi della scuola. Ascolta i loro problemi e fornisce un adeguato sostegno psicologico per quelli che ne hanno più bisogno" spiegò Gambon.
"In realtà lavoro come psicologa nell'ospedale della Contea, non molto distante da West Coburn" disse lei, facendo guizzare le gemme degli occhi da Gambon a Jo "Il lavoro a scuola lo svolgo per passione. Sono molto brava a capire le persone, soprattutto i bambini e i ragazzi".
Jo non faticò a crederlo: con quella vitalità e quella luce di determinazione negli occhi Viola doveva essere un'ottima dottoressa e si sentiva scrutare nell'animo ogni volta che lei lo guardava. Questo lo spaventava: non voleva che capisse che razza di persona era stato e sapeva di portare le sue colpe nello sguardo perennemente mesto. Probabilmente lei aveva già capito quanto lui fosse triste dentro.
Gambon le chiese come andava il lavoro e lei rispose che stava avendo qualche problema con un paziente, anche se non fece il nome. "Si comporta in maniera insolita" disse "Non era mai stato violento, ma ieri ha quasi strangolato un infermiere. Quando ho cercato di capire perchè avesse cercato di uccidere quell'uomo mi ha risposto con frasi deliranti".
"In che senso?" chiese Jo, ammaliato dalla voce di Viola. lei lo guardò e sorrise, stirando lievemente le labbra e piegando gli angoli della bocca -Jo si sentì morire- e disse: "Non dovrei parlarne, ma visto che è nuovo non può capire di chi si tratta e in ogni caso non farei mai il nome del paziente" fece una pausa "Quando gli ho chiesto il motivo del suo gesto ha iniziato a urlare e a blaterare qualcosa riguardo un pozzo".
"Lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo..." mormorò Jo, non sapendo nemmeno il perchè.
"... Ci cade dentro" finì Viola "Come fa a sapere cos'ha detto il mio paziente?" chiese la ragazza sorpresa. Ora lo guardava con diffidenza mista a sorpresa. Quanto era bella, pensò Jo.
"Io... non lo sapevo. Questa frase l'ho sentita da qualche parte tempo fa, credo" si difese Jo.
"Davvero?" disse lei, ma non sembrava affatto credergli "Beh, è molto strano. Sono le esatte parole che ho sentito ieri".
"Forse l'ha letto da qualche parte" disse Jo senza convinzione.
"Forse" mormorò lei. Gambon guardò Jo preoccupato. Guardò l'orologio. Era ora di andare.
"Viola, credo che sia meglio se andiamo dai Turner".
"Si hai ragione" disse Viola e si voltò verso Jo "E' stato un piacere conoscerla, Joseph".
"Mi chiami Jo. E mi dia pure del tu" disse Jo.
"D'accordo, Jo. Spero di rivederti presto" disse lei, con una voce più che mai calda e arricciò un poco le labbra, guardandolo intensamente, socchiudendo appena gli occhi.
"Lo spero anch'io. Buona giornata, Viola. Sceriffo" disse salutando anche Gambon. Lei si allontanò lanciandogli un'ultima occhiata. Jo sentiva che il cuore stava per esplodergli nel petto. Che gli era preso? Si era immaginato quell'occhiata intensa che gli aveva rivolto lei poco fa? Come mai non riusciva a togliersi dalla testa il suo profumo? Jo questo non lo sapeva, ma era certo che Viola Gambon gli aveva lasciato il segno.


Gambon guidava e sua figlia gli sedeva accanto. Era ogni giorno più bella, pensò e mentre sostava davanti ad un semaforo rosso osservo i suoi zigomi morbidi e alti, le sue labbra calde e morbide, i suoi occhi dalle ciglia lunghe. Era identica a sua madre e si notava anche ora che sua moglie non era più giovanissima.
"Che è successo là dentro?" chiese gambon con disinvoltura.
"Cosa vuoi dire?" chiese lei, fingendosi indifferente.
"Jo. mi sembrava che ci fosse qualcosa tra voi poco fa".
"Ma non lo conosco nemmeno!" ribattè lei.
"Sai cosa intendo. Ho visto come ti guardava e ho visto come lo guardavi tu".
"Fai il papà geloso anche ora che ho ventotto anni?" chiese lei, divertita e mostrando un sorriso tutto denti.
"Sempre e comunque" rispose lui, facendo finta di essere serio.
"Non dico che non mi abbia colpita. La frase che ha detto... era proprio quella che ha detto il mio paziente ieri. E poi non dirmi che non hai notato i suoi occhi: sono così belli, eppure così tristi".
"Quindi ti interessa?".
"Papà siamo quasi arrivati" disse lei, punzecchiandolo.
"va bene, va bene" troncò il discorso.
Erano arrivati a destinazione. "Te la senti?" chiese gambon, cauto.
"E' quello che so fare meglio. Ascolto le persone e loro mi parlano. Con Susan e James sarà ancora più facile".
"Non vuoi parlare di..." disse Gambon.
"No. Ora no" rispose lei, decisa.
"D'accordo. Quando vuoi parlarne non hai che da chiedermelo".
"Non adesso. Andiamo". Scesero dall'auto e si diressero verso la villetta rosa dei Turner. Lo sceriffo sentì stringersi un nodo in gola. Ci siamo. Fortuna che aveva Viola con se.

Mentre Viola e Gambon si preparavano a dare la brutta notizia ai Turner, Cartbury vagava nel bosco. Aveva accanto a se il suo amico e si sentiva felice. Aveva preso il corpo e aveva guidato per un po' fino a che non aveva raggiunto l'altra sponda del lago, poi aveva buttato il cadavere in un punto dove nessuno lo avrebbe trovato per molto tempo. Era tornato sul luogo del delitto e si era addentrato nella boscaglia, sempre con l'uomo senza occhio che lo seguiva; era spensierato, perfino allegro: la paura delle ore precedenti lo aveva abbandonato.
"E se volessi vederlo?" chiese Cartbury.
"Non può" disse l'altro "Non può proprio. Non sia curioso, agente. Lo sa qual'è la caratteristica dei curiosi?".
"No" disse Cartbury, come inebetito.
"Sono stolti" continuò l'altro.
"E lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo" ridacchiò stupidamente Cartbury "Ci cade dentro. Lo so".
"Si, agente Cartbury. E nell'acqua del pozzo dorme qualcosa che è meglio lasciare in pace. Solo che questo lo stolto non lo sa".


Nella stanza buia la figura immobile stava tremando leggermente. 'Un buon inizio' pensò 'Le danze proseguono. Straniero... Straniero come fremo per giocare con te'. La stanza era buia, la figura immobile e l'aria densa di malvagità.

6 commenti:

  1. La storia si fa sempre più intricata... COMPLIMENTI!!!

    RispondiElimina
  2. In questa parte ci sono un po' di errori di battitura, forse non dovresti scrivere così velocemente XD
    Comunque quella ragazza mi ricorda qualcuno o.o ma proprio tanto tanto .... mmm...
    La storia sempre più inquietante e bella, bravo ^_^

    RispondiElimina
  3. Grazie! Hai ragione, scrivo troppo veloce e devo starci più attentoXD

    RispondiElimina
  4. Più testo uguale più correzioni xD

    Lo fissava e commentava, con voce fredda e non umana:

    Dato che poi ripeterai "non umana/o" più volte forse la frase suonerebbe meglio così: "Lo fissava e commentava, con voce fredda e inumana"

    Aveva certamente meno di quarant'anni e aveva un viso segnato da profonde rughe di stanchezza, ma tutto sommato poteva essere considerato un bell'uomo, anche se aveva gli occhi colmi di tristezza.

    Ancora non capisco se lo fai apposta a ripetere tre volte le cose, :D
    ma in caso contrario te lo faccio notare, così eviti, anche perchè risulta pesante da leggere alla lunga.

    Visto che conosceva Susan e James da sempre;

    Non so perchè, ma un minimo di approfondimento in più sui rapporti tra lo sceriffo e i genitori del morto, a mio avviso potrebbero giovare nell'immedesimazione con il personaggio. Quel "da sempre" racconta troppo poco per capire il suo sentimento, a mio avviso.

    " "Molto piacere. Mi chiamo Joseph. Joseph Blonde"."
    Ehm, ehm... :D

    ""Un uomo molto gradevole, Langstorm" fece una pausa "E un altro tizio a dir poco snervante, un tale di nome Criswell".
    "Ah non ci faccia caso" ribattè Gambon "Langstorm è un po' suonato, ma è un tipo a posto. In quanto a Criswell... beh è semplicemente odioso"."

    Non conosco ancora bene il personaggio, però se io, personalmente stessi parlando con uno sconosciuto, in una piccola cittadina in cui tutti si conosco, usere un po' di tatto, per quanto ne so potrei star parlando di un suo amico o di un parente. Magari è una caratteristica del personaggio, se così fosse ok.


    Viola mi ricorda LEGGERMENTE, ma leggermente qualcuno... chissà chi, eh? XD

    L'ultimo paragrafo è d'effetto, mi piace, veramente, però secondo me lo puoi migliorare ancora e renderlo ancora meglio! Non ti so dare consigli in questo senso però.
    "La stanza era buia, la figura immobile e l'aria densa di malvagità" è perfetta così *__*

    In ogni caso la trama ha finalmente ingranato la prima marcia, l'interesse sale, ora non resta che vedere come proseguirà, solo spero non si tratti della solita vendetta post mortem, anche se credo che tu ci nasconda più cose di quante possiamo immaginare, o almeno lo spero :P
    Al prossimo capitolo! (e ancor prima al concorso, visto che parteciperò ;)

    RispondiElimina
  5. Grazie come sempre di tutti i consigli!!! Si lo ammetto, Viola è leiXDPer quanto riguarda il rapporto tra lo sceriffo e i genitori del morto lo si vedrà meglio nel prossimo capitolo! Oh sono contento che partecipi al concorso!!

    RispondiElimina
  6. Questo racconto mi prende più di un libro di Dan Brown. Più va avanti meglio è, veramente.

    RispondiElimina