Visualizzazioni totali

mercoledì 7 luglio 2010

CAPITOLO 4- PRIGIONIERO


Viola Gambon se ne stava appollaiata sul divano, con un bicchiere pieno di the freddo in una mano e gli occhi rivolti verso il televisore, ma non lo stava guardando veramente. In realtà i suoi pensieri continuavano a tornare a quella mattina e alla visita forzata ai genitori di Pat Turner. Suo padre aveva voluto che ci fosse anche lei per due ragioni fondamentali: lei, come lo sceriffo, conosceva i genitori del ragazzo da molto tempo e poi un valido aiuto psicologico gli avrebbe certamente fatto comodo, del resto Viola era la migliore nel suo campo, era un'ottima ascoltatrice e aveva un talento naturale nel capire le persone, sapeva inquadrarle perfettamente nel giro di pochi secondi. Quando avevano suonato il campanello aveva sentito una stretta allo stomaco: quella volta non sarebbe stato come al solito e lo sapeva bene, era troppo coinvolta sentimentalmente in tutta la faccenda, anche se cercava di simulare un minimo di freddezza, cosa che le riusciva solo in parte. Lo sceriffo la guardava con la sua stessa espressione tesa: Viola aveva ricambiato lo sguardo di suo padre e lo aveva fissato con due paia di occhi identici; la porta della villetta si era aperta ed era comparso sulla soglia un uomo alto, sulla cinquantina, che indossava un paio di bermuda color kakhi e una t-shirt dello stesso colore, con al centro una stampa che riproduceva l'immagine dello Zio Sam in versione scheletro.
Quando James Turner aveva visto chi aveva suonato il campanello sbiancò in volto: era molto tempo che Viola non faceva visita a lui e Susan e Hannibal era in servizio in quel momento. Aveva capito subito che se si trovavano li non era per una visita di cortesia.
"Ciao James" aveva detto Gambon con voce grave.
"Hannibal" aveva replicato l'altro, con il respiro strozzato "Che è successo?".
Gambon aveva guardato di nuovo sua figlia e si era tolto il cappello a tesa larga che portava sempre calcato sul capo, poi aveva rivolto lo sguardo verso l'amico e aveva continuato: "Possiamo entrare?".
"Dio" aveva detto James, con gli occhi che si riempivano di lacrime "Si... si tratta di Pat?".
"Temo di si. Davvero, è meglio se ne parliamo dentro" aveva ribattuto Gambon.
Erano entrati e subito avevano notato una donna, ancora bella nonostante non fosse più così giovane, che era appoggiata contro il muro e si copriva il volto con le mani: Susan Turner doveva aver sentito la conversazione che suo marito aveva avuto con lo sceriffo.
"Cosa gli è successo?" aveva domandato tra le lacrime "Cos'ha fatto stavolta? Ha rubato un auto? Gli hanno spaccato la faccia?". Aveva quasi gridato. Gambon aveva provato una gran pena per Susan: stravedeva per Pat ma il ragazzo non faceva nulla per renderle la vita facile e si era sempre cacciato nei guai. Gambon aveva fatto sedere i Turner in salotto e aveva spiegato loro di come avevano trovato il pick up incidentato sulla strada e quando arrivò al punto in cui avevano trovato il corpo di loro figlio nel bosco non riuscì a continuare.
"Ma lui dov'è, Hannibal? Dov'è mio figlio?" chiese James, anche se aveva ormai intuito tutto. Gambon non rispose: non sapeva perchè, ma non riusciva a dirlo.
"James" intervenne Viola e puntò sull'uomo i suoi occhi meravigliosi, che ora brillavano di lacrime "Pat ha avuto un brutto incidente. Era..." e qui aveva esitato. Avrebbe dovuto dirgli che era completamente ubriaco e probabilmente impasticcato al momento dello schianto?
"Non ce l'ha fatta" aveva concluso, rapidamente. Una lacrima era scesa a rigargli il volto: anche in quel momento era stupenda e anzi sembrava essere ancora più bella del solito. James si era afflosciato sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto, Susan invece aveva avuto una reazione completamente diversa: con uno strillo acuto si era gettata tra le braccia di Viola e si era abbandonata ad un pianto dirotto. Viola l'aveva abbracciata e le aveva sussurrato all'orecchio di sfogarsi, di buttare tutto fuori; la ragazza aveva chiuso gli occhi e aveva stretto la donna amorevolmente, passandole piano la mano sulla spalla per farle coraggio. Gambon aveva osservato la scena e non aveva potuto fare a meno di notare la smorfia di dolore che era passata sul volto di sua figlia: le labbra erano arricciate e contratte, mentre gli occhi erano chiusi, le narici leggermente dilatate. Lo sceriffo sapeva quanto Viola stesse soffrendo in quel momento, ma non l'avrebbe vista piangere a dirotto come aveva fatto Susan Turner.
Mentre ripensava a quella mattina viola provò una fitta di dolore al petto: era stata dai Turner per ore, per cercare di aiutarli a superare il primo momento di smarrimento. James era un uomo forte e si sarebbe ripreso, ma Susan... lei non aveva mai voluto accettare il fatto che suo figlio non fosse il bravo ragazzo che aveva sempre creduto e, a differenza di James, non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire che era morto. Temeva che la donna avrebbe avuto un crollo nervoso, così aveva deciso che l'avrebbe seguita giornalmente a casa, per aiutarla a mettersi il cuore in pace, ma non sarebbe stato facile: la morte di un figlio era un trauma che molti non riuscivano a superare nemmeno nel corso di anni e anni.
Sorseggiò il the e appoggiò il bicchiere sul tavolino accanto al divano, poi si rannicchiò ancora di più. Non avrebbe potuto essere più bella che in quel momento: indossava una canottiera attillata con una scollatura che metteva in evidenza la rotondità perfetta dei seni e un paio di shorts bianchi, cosi che si potevano notare le lunghe gambe nude dalle cosce tornite; i capelli neri e lunghi le ricadevano sul petto e così rannicchiata era terribilmente sensuale. Si sentiva incredibilmente triste e aveva anche pianto parecchio, una volta tornata a casa: era molto che non i sentiva con Pat Turner, ma con tutto quello che c'era stato tra loro non poteva non sentirsi distrutta. Guardò l'ora: le nove e mezza di sera. si alzò e andò in camera da letto; dopo cinque minuti ne uscì con indosso una maglia color panna con il collo molle che ricadeva sul davanti, allargandosi a scoprire la scollatura e un paio di jeans, poi si mise la matita sugli occhi, rendendoli ancora più straordinari di quanto già non fossero, afferrò la borsa e uscì di casa. In pochi minuti fu in centro e iniziò a passeggiare, sperando di riuscire a distrarsi.

Cartbury non era più nel bosco, ma ormai si era fatta sera. Il suo amico era sempre accanto a lui e ogni tanto uno schizzo di sangue dall'occhio devastato gli macchiava la polo, che era ormai tutta incrostata da macchie scure e rapprese.
"Cosa ci facciamo qui?" chiese Cartbury con il solito sorriso ebete.
"Dev fare una cosa. Lui vuole che lei la faccia" rispose l'altro.
"Se lo chiede Lui allora lo faccio".
"Non è una cosa bella, agente. Ma va fatta" continuò l'uomo senza occhio.
"Nessun problema. Non ci sono problemi" rispose Cartbury.
"Molto bene. Molto molto bene. Ce l'ha ancora la pistola, agente?".
"Certo" disse Cartbury tirando fuori dalla tasca la Glock.
"Eccellente. Adesso entri e la usi".
"Va bene. se Lui vuole così, lo faccio".
"Bene, agente. Molto bene". Cartbury sfondò la porta della casetta davanti a cui si trovava ed entrò.

Jo era nella tavola calda di Spike. Per tutto il giorno non era riuscito a pensare ad altro che Viola Gambon: era rimasto letteralmente stregato da quella ragazza. era la cosa più bella che avesse mai visto e sentiva ancora il suo profumo nelle narici se respirava a fondo. Sorseggiò il suo caffè con noncuranza e ordinò un piatto di patatine fritte. Si chiedeva se sarebbe mai riuscito a conoscerla meglio, non gli sarebbe affatto dispiaciuto
(A lei si però)
Questo pensiero lo attraversò come un proiettile: con quale coraggio poteva pensare che Viola si sarebbe interessata a uno come lui? Era stato un uomo orribile, anche se ora era cambiato. 'Il passato non si cancella' pensò 'Puoi far finta che niente sia accadto, puoi credere di aver cambiato vita e di essere una persona migliore, forse, ma le cose non cambiano'. E ora era li che no riusciva a togliersi dalla testa quegli occhi così belli. Quando era tornato a casa quella mattina si era buttato in doccia e poi si era appisolato sul divano; naturalmente aveva sognato lei: era lì, nell'oscurità densissima che lo fissava, la pelle bianca e i capelli neri che si confondevano con l'oscurità alle sue spalle. Ricordava che nel sogno aveva fissato a lungo il suo viso: le sue ciglia lunghe e gli occhi come gocce orizzontali, il naso lentigginoso, stupendo, e quelle labbra così morbide. Ma qualcosa non andava: nel buio dietro di lei c'era qualcosa, una sagoma più chiara che si avvicinava e in mano aveva una pistola. Jo le aveva urlato di scappare, ma lei lo aveva guardato socchiudendo gli occhi e arricciando le labbra: lo stesso sguardo desideroso che le aveva visto poche ore prima mentre se ne andava con lo sceriffo dalla tavola calda. Mentre cercava di spostarla, di sottrarla alle grinfie dell'uomo con la pistola si era svegliato. non sapeva dire cosa significasse quel sogno, ma certo era strano: si sarebbe aspettato di sognare qualcosa di diverso, visto il desiderio irrefrenabile che provava per lei. 'Ti si è fottuto il cervello' pensò 'Nemmeno la conosci e ti comporti come un ragazzino innamorato. Patetico'.
Mentre pensava questo la porta della tavola calda si aprì e lui rischiò di strozzarsi con il caffè che stava bevendo: come una visione inaspettata era apparsa sulla soglia quella che nelle ultime ore era diventata la sua ossessione: Viola era lì, ancora più bella rispetto a quando l'aveva vista quella mattina.
lei lo notò subito e gli fece un cenno di saluto, poi a passo spedito si diresse verso il suo tavolo. "Posso?" chiese.
(Assolutamente si!)
"Ciao viola" disse lui, cercando di darsi un contegno "Prego".
"Dobbiamo smetterla di incontrarci così" disse lei allegra mentre si accomodava.
"Scusa?" disse lui, sopreso.
"Citazione da un film, non ricordo quale, ma la frase è perfetta per la situazione. Ti incontro una volta alla tavola calda di Spike e speravo di rivederti. E dove ti trovo? Di nuovo qui" rispose lei, sicura.
'Speravo di rivederti?'. Il cuore di Jo aveva aumentato i battiti.
"Beh anch'io speravo di rivederti. Ed eccoci qua".
"Già" disse lei, con una lieve nota di imbarazzo nella voce.
La cameriera arrivò con il piatto di patatine fritte. "Prendine pure" disse Jo.
"Grazie" rispose lei. Parlarono a lungo e Jo pensò che non c'era nessun altro posto in cui sarebbe voluto essere: stava bene con lei, adorava guardarla mentre parlava del suo lavoro con i ragazzi, adorava sentirla dire qualunque cosa perchè aveva una voce calda e sensuale. Constatò che era brillante e si poteva parlare di tutto con lei, visto che era anche dannatamente intelligente e sveglia. Per tutto il tempo in cui rimasero seduti a parlare lei non gli staccò gli occhi di dosso e lo guardava intensamente e di tanto in tanto le labbra si allargavano in quel sorriso spostato verso destra che Jo trovava irresistibile. C'era un che di cinico in lei, affrontava qualunque argomento con un'ironia sottile e tagliente che lo faceva impazzire. 'Come fa ad essere tanto perfetta?' pensò. Eppure notava che c'era qualcosa a turbarla: i suoi occhi meravigliosi erano leggermente velati dalla preoccupazione, ma forse era solo un'idea di Jo. Dopo un po' lei guardò l'orologio e disse:"Già mezzanotte. Dovrei andare".
"Ti accompagno" disse lui pronto.
('Che stai facendo? Non sei pronto ancora')
Ignorò quel pensiero. Viola Gambon ormai lo aveva rapito e a lui non dispiaceva affatto. Erano mesi che non si sentiva così vivo. 'Cancella tutto' pensò 'Non mi ero mai sentito così vivo'.
Uscirono dalla tavola calda e si avviarono. Mentre camminavano Jo disse, quasi senza pensare: "Ho sentito che hanno trovato un ragazzo morto nel bosco. Ne stava parlando spike con un tizio prima che tu arrivassi".
"Pat" disse, con la voce tremante "Lui era...". Ma qui si bloccò e Jo capì di avere toccato il tasto sbagliato. Le mise timidamente una mano sulla spalla e si scusò.
"Non devi scusarti" disse lei, con una lacrima che pendeva dalle ciglia lunghissime "Non ne ho parlato con nessuno. Nemmeno con mio padre... Voglio dire, lui sa come sto, ma non mi andava di parlare. Ma con te è diverso".
"Perchè sarebbe diverso?" chiese Jo.
"detesto farmi vedere in queste condizioni. Non voglio che nessuno mi veda così. Ma tu" e gli passò un indice sul mento "tu sei diverso. hai questi occhi così tristi, sofferenti. Io e Pat Turner eravamo fidanzati, anni fa. Credo che sia uno dei pochi che sia riuscita ad amare... veramente". Jo era sbalordito: la conosceva solo da poche ore e lei gli stava raccontando una cosa tanto personale. Si sentiva a disagio.
"Scusa, non volevo" disse lei, accorgendosi della sua perplessità.
"No, continua. Solo non mi aspettavo che ti andasse di parlarmene".
"Non lo credevo nemmeno io. c'è qualcosa in te che... Ad ogni modo io e Pat siamo stati insieme per due anni. Io ero più grande di lui di tre anni, ma non mi importava. era un ragazzo difficile, ribelle e questo mi faceva impazzire. Andava sempre in giro con altri due: Preston e Peter, tra di loro si chiamavano scherzosamente 'Le tre P'". Ora aveva il volto rigato dalle lacrime. Jo la ascoltava in silenzio, tenendole la mano mentre camminavano.
"Un giorno di pochi anni fa erano tutti e tre sul furgoncino di Peter, che era alla guida ubriaco. Accosto il furgoncino proprio al limite del burrone per andare a vomitare, non si sentiva bene. Pat e Preston erano troppo bevuti per poter anche solo pensare di mettersi alla guida. Peter scese e non mise il freno a mano. Fu questione di pochi secondi e si ritrovarono in acqua, dentro al mezzo. pat era terrorizzato e cercò subito di uscire, ma Preston era incastrato tra i due sedile e aveva battuto la testa, svenendo. Pat aspettò che tutto l'abitacolo fosse sommerso prima di mettersi in salvo e lasciare Preston a morire. Ma non aveva scelta, capisci?". Jo annuì in silenzio.
"Ma Pat non si perdonò mai. Mai. Incominciò a bere per davvero e divenne alcoolizzato, si devastava con la droga e pian piano divenne un poco di buono. Non mi volle più vedere perchè odiava quello che aveva fatto e cos'era diventato. Un relitto. E ora è morto".
Jo la abbracciò e lei ricambiò, stringendolo forte tra le braccia. Jo credette di stare per morire: il cuore gli stava per scoppiare e sentiva il volto caldo di lei premuto contro la spalla.
"Mi dispiace" disse lui "E' terribile, ma devi andare avanti". 'Grazie tante genio' pensò mentre parlava 'Potevi trovare qualcosa di meglio da dirle'.
Era incredibile la confidenza che avevano già lui e Viola dopo poche ore che si erano conosciuti. C'era qualcosa in quella ragazza che la rendeva diversa dalle altre, come se nel destino di Jo ci fosse sempre stato scritto che si sarebbero incontrati. 'Idea assurda' pensò lui.
Camminarono ancora un po' e davanti a loro si parò un uomo molto basso, con un pizzetto a punta e un paio di ridicoli occhiali da sole. "Viola" disse.
"Stu" replicò lei, quasi disgustata.
"Perchè non molli mister tristezza, qui " e indicò sprezzante Jo "e vieni a farti una birra con me? Dopo Andiamo a casa mia e ti faccio vedere una cosina che ho imparato...".
"Mi piacerebbe davvero tanto, Stu" disse lei con voce falsamente dispiaciuta "Ma poi non vorrei che Biancaneve si ingelosisse. Dove sono gli altri sei?".
Stu divenne paonazzo e se ne andò spintonando Jo, che era alto quasi il doppio.
"Quello chi era?" chiese.
"Un idiota, non farci caso. in questo posto ci provano tutti, dal primo all'ultimo. Non mi danno mai tregua". Jo poteva capire il perchè.
arrivarono davanti alla chiesa e Viola assottiglio le palpebre dietro agli occhiali: cos'era quella cosa davanti al portone? Jo guardò nella stessa direzione e istintivamente le mise una mano a coprirle il volto e la voltò, stringendola forte a se.
"Jo che ti prende?" chiese lei più che sorpresa.
"Non guardare" disse lui inorridito "Non voglio che guardi".
"ma perchè? Cosa..." cercò di chiedere lei, ma Jo la strinse più forte di prima.
"Chiama tuo padre mentre vado a vedere".
Viola ancora non capiva, ma di certo non aveva intenzione di dare ascolto a Jo: lo seguì a passo spedito e più si avvicinava, più capiva la reazione dell'altro. Quando fu più vicina vide Jo che si voltava disgustato e correva verso la siepe più vicina: vomitò tutto quello che aveva mangiato alla tavola calda. Viola si avvicinò al portone e i suoi occhi si spalancarono, inorriditi e scintillanti. Le sue labbra morbide si stirarono in una smorfia di disgusto e il naso lentigginoso ebbe un fremito quando fu raggiunto dalla puzza di mattatoio. Davanti alla ragazza si presentava uno spettacolo spaventoso: un vecchio, probabilmente un barbone, a giudicare dagli stracci consunti che indossava, giaceva inchiodato al portone di legno, come una grottesca imitazione del Cristo in croce. Il volto esangue era bianco e orribilmente sfregiato, come se ci avessero passato ripetutamente sopra una lama e la folta barba grigia era intrisa di sangue raggrumato; gli occhi castani erano sbarrati e vi si poteva leggere un cieco terrore congelato per sempre al loro interno. Era a torso nudo e oltre alla spaventosa magrezza, Viola notò le ferite tremende che aveva sul petto e si sforzò di non vomitare; i piedi non erano stati inchiodati e il peso del corpo stava spezzando i polsi in cui erano conficcati i chiodi, che si erano già incominciati a torcere, così che le ferite procurate dal metallo sanguinavano copiosamente e si allargavano sempre di più, lacerando la carne e i tendini che affioravano come sottili corde di chitarra. Le gambe magrissime erano coperte da un paio di pantaloni stracciati e dai buchi nel tessuto si intravedeva la pelle biancastra. Viola era inorridita e mentre guardava lo spettacolo impressionante fu raggiunta da Jo, che nel frattempo si era ripreso.
"Perchè hai guardato?" le chiese.
"Chi sei, mio padre?" disse lei cercando di scherzare, ma sentiva che avrebbe vomitato anche lei "E' spaventoso. Chi può...?" ma non finì la frase perchè dovette voltarsi per non sentire l'odore del sangue. Ce n'era tantissimo, sul portone, sul corpo del vecchio e sui muri, addirittura si era formata una gigantesca pozzanghera proprio sotto al cadavere. Poi Jo alzò lo sguardo e vide una cosa che non aveva notato prima, anche se era evidente: sopra l'arcata descritta dal portone, sul muro candido, c'era una scritta fatta con il sangue che diceva: EGO SUM CAPTIVUS.
La calligrafia era storta e appuntita e questo si notava anche se il liquido era colato, rendendola ancora più grottesca. Jo rimase perplesso: era ancora sconvolto e doveva pensare a Viola, ma non potè fare a meno di sentirsi sorpreso, visto che la scritta era in latino. Viola era ancora lì con l'espressione sconvolta, così Jo si fece dare da lei il numero dello sceriffo e gli spiegò la situazione. Dopo mezz'ora Gambon era sul posto e subito abbracciò la figlia, cercando di tranquillizzarla. Jo notò che Viola era diventata silenziosa e la sua pelle era più bianca del solito, gli occhi spaventati e le labbra che di tanto in tanto tremavano. Le passò un dito sul naso, non seppe perchè, ma la sentì rabbrividire di piacere: "Non preoccuparti" le disse sussurrandole all'orecchio "Adesso ti porto a casa". Lei annuì, ma era ancora tesa. Lo sceriffo domandò a Jo come avessero fatto a trovare il corpo e lui spiegò che avevano semplicemente visto il corpo inchiodato ai battenti.
"Non ho mai visto una cosa del genere qui a West Coburn. Mai" disse Gambon.
"Io non credevo che avrei mai visto niente di simile. Ho vomitato davanti a sua figlia" disse Jo cercando di sdrammatizzare.
"Non credo che ti giudicherà per questo. Sto avendo qualche problema anche io a tenere la cena nello stomaco. E il mio secondo ancora non si è visto" replicò Gambon, pensando con ansia a Cartbury che ancora non si era fatto vivo.
"Capisco" disse Jo "C'è qualcosa che posso fare per aiutarla?".
"Ho chiamato altri agenti e la scientifica sarà qui domattina. Potete andare e ti prego di assicurarti che lei stia bene prima di lasciarla sola" disse Gambon accennando a Viola.
"Con me è al sicuro" affermò Jo.
"Lo spero" disse Gambon, guardandolo sospettoso. Jo cinse Viola con un braccio e si diressero verso casa.
"Un momento" li fermò Gambon "Una cosa che puoi dirmi ci sarebbe, Jo".
"Mi dica sceriffo".
"Tu sei un insegnante, giusto?" Non è che per caso..."
"Io sono prigioniero" disse Jo.
"Prego?" domandò Gambon confuso.
"Avrei dovuto dirglielo prima, sceriffo, mi scusi. E' la scritta: è latino e significa 'io sono prigioniero'".
"Grazie" replicò Gambon. A chi sarebbe mai venuto in mente di fare uno scempio simile? e chi avrebbe potuto saper scrivere in latino in quel posto? Naturalmente l'assassino poteva benissimo aver copiato la frase da qualche libro senza sapere bene cosa significasse. Ad ogni modo Gambon era semplicemente sconvolto: era il secondo cadavere che rinveniva in pochi giorni, ma questo era stato palesemente massacrato. Si avvicinò ancora di più al corpo e osservò le ferite al petto. Sgranò gli occhi.
"Jo!" urlò "Vieni presto!". Jo sciolse Viola dall'abbraccio e si diresse verso il vecchio sceriffo.
"Che succede?" domandò.
"Le ferite sul petto. Mi spiace, non posso lasciarti andare".
"Come?" chiese Jo, confuso.
"Le ferite" ripetè Gambon, gravemente.
Jo le osservò e capì: non erano semplici tagli. Qualcuno aveva inciso una frase con una lama, scrivendola in corsivo sottile. non l'aveva notata prima perchè era lontano e dalla ferita era sgorgato molto sangue, ma ora che era a pochi centimetri leggeva chiaramente: 'Lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo ci cade dentro'.
"Sono le parole che hai detto stamattina, Jo" disse lentamente Gambon.
"Cosa vuole dirmi? Sono sospettato?" trasalì Jo.
"Non posso escludere nulla. Sei appena arrivato in città e trovo un cadavere orrendamente sfigurato che riporta sul petto la frase che ti ho sentito mormorare alla tavola calda. Cosa dovrei pensare? tutto è possibile. Mi dispiace ma devo dichiararti in arresto".
"Questo è ridicolo!" sbottò Viola "E' stato con me tutta la sera e a occhio e croce quell'uomo è stato ammazzato un paio di ore fa".
"Come fai a dirlo?".
"Ho studiato medicina di base papà, ricordi? Le ferite sono troppo fresche, te lo confermerà il medico legale".
"Lo tratterrò in centrale fino a che non avremo stabilito l'ora del decesso".
"Non puoi farlo!" disse Viola, furente. Jo vedeva la rabbia nei suoi occhi straordinari e pensò che non esisteva niente di più bello e puro di Viola Gambon.
"Sono io lo sceriffo e dico che lo terrò in custodia fino a domani". Viola stava per ribattere ma il suo telefono cellulare squillò.
"Pronto?" disse. Rimase in silenzio e le labbra si incresparono "Come? Quasndo? Sono con mio padre, glielo riferisco subito". Viola riattaccò.
"Che è successo?" domandò Gambon.
"Puoi lasciarlo andare, papaà" disse indicando Jo "Era il dottor Hoffman. Mi ha chiamato per dirmi che il paziente di cui ti ho parlato stamattina, quello che ha cercato di strangolare un infermiere è scappato qualche ora fa. Hanno trovato due infermieri morti in uno sgabuzzino, li ha uccisi per fuggire. Jo conosceva quella frase, è vero, ma la conosceva anche quell'uomo. E' stato lui, ne sono certa: tra le tante cose assurde che blaterava aveva detto qualcosa riguardo ad un prigioniero. Ora ricordo" era come se le si fosse accesa una lampadina in testa.
"Dici sul serio?" disse Gambon.
"Assolutamente si".
"D'accordo, allora riportala a casa, Jo. ma non lasciare West Coburn per nessun motivo". Jo non si sarebbe allontanato da Viola per niente al mondo, per cui annuì.
"Come si chiama il paziente, Viola?" chiese Gambon.
"Langstorm" rispose lei "Reginald Langstorm".
"Come?" sussultò Jo "E' per caso...".
"Il figlio di peter Langstorm. Si" concluse per lui Gambon.
'Brutta storia' pensò Jo. poi, dopo essersi assicurato che Gambon non sopsettava di lui, accompagnò Viola a casa.

Cartbury sedeva al buio. Il suo amico guardava dritto davanti a se e non parlava. Erano entrati nella casa ma non c'era nessuno, così stavano aspettando e Cartbury stringeva saldamente la Glock, in attesa di usarla.
"Tra poco sarà qui. E' meglio se non sbaglia, agente" disse l'uomo con l'occhio ferito.
"La mia mira è buona, lo sai" ridacchiò Cartbury.
"Lo so" disse l'altro e il foro nell'occhio pulsò leggermente, colando pus giallastro che andò ad aggiungersi alla collezione di macchie sulla polo.
"Non te l'ho mai chiesto" disse Cartbury "Ma ti fa male?" e indicò la ferita.
"No. Io non provo dolore, agente. Sono immune a ogni emozione umana, eccetto una".
"Quale?".
"La più forte".
"L'amore?" domandò Cartbury con voce strascicata.
"L'odio". Cartbury annuì ma non disse altro: aveva sentito un rumore di voci all'esterno.
"E' ora, agente. Non sbagli".
"Io non sbaglio mai" replicò Cartbury e si mise in piedi davanti alla porta, con la pistola puntata all'altezza dello spioncino.

Jo era davanti alla casa di Viola e stava per farla entrare, quando notò che la porta era stata sfondata e ora era solo socchiusa. Le fece cenno di stare indietro, ma quando fece per toccare il pomello accadde una cosa strana: sentì una voce contraffatta nella sua testa che mormorava ossessivamente: "Non farlo! Non colpire lo straniero, vattene! Vattene!". prima che potesse capire da dove venisse la voce spalancò la porta e vide un giovane in piedi, con lo sguardo fisso e una pistola in mano. 'Spara a lei! Spara a lei!' gridava la voce.
"No!" urlò Jo e come se sapesse che a lui il giovane non avrebbe sparato, gli saltò addossò e lo disarmò con estrema facilità. Viola entrò e vide Cartbury con gli occhi sbarrati e biancastri.
"Cartbury?" disse perplessa.
Cartbury gridò: "Viola! devo sparare a Viola! Viola!". Era come impazzito.
viola era sbigottita: voleva ucciderla? Jo prese dalla cintira del ragazzo le manette che portava appese e lo immobilizzò. Cartbury sollevò lo sguardo e vide l'uomo senza occhio che lo guardava inferocito: "fallire non è contemplato, agente. ha esitato perchè voleva vedere lo Straniero. Non ha sparato a lei perchpè era troppo occupato a guardarlo. E' stato curioso agente".
"I curiosi" mormorò Cartbury, con stupore di Jo "Sono stolti".
"E lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo ci cade dentro!" strepitò l'altro. Ma nessuno lo poteva vedere, solo cartbury. L'agente gridò di terrore e Jo e Viola non capirono perchè. cartbury sentì a malapena i denti dell'uomo senza occhio che affondavano nel suo collo e gli strappavano la testa.
Quello che però Jo e Viola videro fu il giovane che gridava e contorceva il collo, come se glielo stessero azzannando. L'urlo fui atroce, po, improvvisamente, espirò con violenza, sputando sangue e rimase fermo immobile. Era morto.

Nella stanza buia la persona sdraiata immobile aveva gli occhi fissi. Non emetteva nessun suono ma era furente, assolutamente furente. Quella notte il bosco avrebbe tremato per la sua ira. 'Non posso perdere tempo' si sentì mormorare e questa volta era una voce tremenda. Se il male avesse avuto una voce, sarebbe stata certamente quella. 'Gli stolti cadranno tutti nel pozzo. D'ora in poi la pietà è bandita. Straniero, Amore mio, presto ti avrò. E tutto il mio dolore finirà. Ego sum captivus. Ancora per poco'.

Gambon ricevette la telefonata di Viola poco dopo che lei e Jo avevano incontrato Cartbury. lo sceriffo era allibito. Cartbury aveva tentato di ucciderla? per quale motivo? Mentre pensava a tutto questo avvertì un rumore alle sue spalle e si voltò: davanti a lui c'era un uomo coperto di sangue. Era il figlio di Langstorm. si inginocchiò e disse a Gambon: "Sono stato io. Ora voglio andare dove vanno quelli come me".
"Sarai accontentato" disse Gambon, ammanettandolo. Mentre lo caricava in macchina avrebbe giurato che Reginald Langstorm stesse sorridendo, ma era ancora troppo sconvolto a causa della morte inspiegabile di Cartbury per capire se era stata solo una sua impressione oppure no, comunque non aveva importanza. 'Portami lì. Portamici e farò iniziare il secondo atto' pensò Reginald. Ma Gambon non notò la luce diabolica nei suoi occhi.

12 commenti:

  1. Bene, molto bene x) questa volta pochissimi errori, vabè dire ad ogni capitolo bello mi sembra quasi inutile, aspettiamo adesso il 5° ^^

    RispondiElimina
  2. @Valchiria: Grazie mille!!!!
    @marikaexpo: eh si l'ho messa perchè tanto ormai l'avevano capito tutti chi era Viola GambonXD

    RispondiElimina
  3. Complimenti! la storia si fa sempre più intricata :p
    ...credo di essere l'unico che non aveva capito che era la descrizione di cmdrp... che figuraccia -.-

    ti segnalo qualche errore, per lo più sono di distrazione ;)


    "Viola aveva ricambiato lo sguardo di suo padre e lo aveva fissato con due paia di occhi identici"
    scusa ma un paio è formato da 2, Viola ha 4 occhi? O.O

    "stravedeva per Pat ma il ragazzo non faceva nulla per renderle la vita facile"
    vi va una virgola prima del "ma"...

    "era molto che non i sentiva con Pat Turner"
    hai dimenticato una "s" in "non Si sentiva" ;)

    "il collo molle che ricadeva sul davanti, allargandosi a scoprire la scollatura e un paio di jeans"
    prima della "e" ci vuole una virgola perchè "allargandosi a scoprire la scollatura" è un inciso ;)


    "Dev fare una cosa. Lui vuole che lei la faccia"
    hai dimenticato una o in "Devo" :p

    "Puoi far finta che niente sia accadto"
    ti sei mangiato una u in "accaduto" :p

    "E ora era li che no riusciva a togliersi dalla testa"
    "no" invece di "non" :p

    ""Ciao viola" disse lui"
    V maiuscola ;)

    "Ne stava parlando spike con un tizio"
    Spike è un nome ;)

    "detesto farmi vedere in queste condizioni"
    la "d" di "detesto" andrebbe maiuscola...

    "Jo la ascoltava in silenzio"
    questo è un errore superfluo ma dovresti dire "l'ascoltava"...

    "Accosto il furgoncino proprio al limite del burrone"
    "Accostò" ha l'accento, se no il verbo è al presente e in prima persona :p

    "pat era terrorizzato"
    Pat è un nome XD

    "ma perchè? Cosa..."
    la "m" di "ma" andrebbe maiuscola...

    "Puoi lasciarlo andare, papaà"
    papa o papà? tutti e due no eh XD

    "viola era sbigottita"
    V maiuscola...

    "Jo prese dalla cintira del ragazzo le manette"
    hai premuto il tasto sbagliato, era "cintura" XD

    "fallire non è contemplato, agente. ha esitato"
    H maiuscola dopo il punto...

    "Ma nessuno lo poteva vedere, solo cartbury."
    C maiuscola...

    "cartbury sentì a malapena i denti dell'uomo"
    di nuovo C maiuscola :)

    "L'urlo fui atroce, po, improvvisamente"
    immagino volessi scrivere "poi"...

    "Cartbury aveva tentato di ucciderla? per quale motivo?"
    dopo il punto interrogativo la "P" maiuscola...


    Mattia... posso chiamarti Mattia? ti chiedo ancora scusa per il fatto di farti sempre notare gli errori, non prenderla come una critica o pignoleria, se vuoi posso anche smettere di farlo! è solo perchè credo che tu l'abbia in bella stesura da qualche parte e mi sembrava un modo per aiutarti a correggere gli errori... scusa ancora!

    RispondiElimina
  4. "Dobbiamo smetterla di incontrarci così"

    cavolo non mi viene in mente che film è! :(

    RispondiElimina
  5. @Michael: mi fa invece molto piacere che tu me li faccia notare, davvero grazie!
    @sparda: grazieXD

    RispondiElimina
  6. Ciao, scusa il ritardo nella lettura, colpa del lavoro ;)

    Lo stile mi è sembrato migliorato rispetto alle scorse volte e le sviste te le ha già sottolineate Michael, così ti vorrei solo dare un paio di consigli:

    " la morte di un figlio era un trauma che molti non riuscivano a superare nemmeno nel corso di anni e anni."

    Quel "anni e anni" mi suona male, forse sarebbe meglio "molti anni" o qualcosa di simile.
    Inoltre lo stacco con la frase successiva "Sorseggiò il the e appoggiò il bicchiere sul tavolino accanto al divano" è forse eccessivo e si potrebbe diminuire aggiungendo un "Viola" all'inizio della frase.

    Qualche paragrafo dopo, mi è sembrato un po' strano il comportamento dello sceriffo al ritrovamento del cadavere: per prima cosa non sono convinto che si possa arrestare un uomo solo per avergli sentito dire una frase che è stata trovata su un cadavere, è un indizio troppo labile per qualsiasi arresto. Inoltre mi stupisce che poco dopo averlo accusato, una volta sentita una teoria alternativa lo lascia andare... e con sua figlia per giunta! Fino a prima aveva dei sospetti sul fatto che fosse un assassino, che padre snaturato :D

    Come al solito sono solo opinioni personali, spero ti possano risultare utili :)

    RispondiElimina
  7. Ciao! Si lo so, sembra strano il suo comportamento, ma se noti ci sono molte cose strane a livello comportamentale in ogni personaggio e c'è un motivo, ma lo spiegherò più avantiXD Grazie davvero per il tempo che investi nel trovare tutte quelle cose che si possono migliorare, tra te e sagana mi state facendo risparmiare un sacco di fatica!!!!!

    RispondiElimina
  8. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  9. Racconto molto bello ed avvincente;
    provo a segnalarti anch'io qualche errore:

    ORIGINALE:
    "Pronto?" disse. Rimase in silenzio e le labbra si incresparono "Come? Quasndo? Sono con mio padre, glielo riferisco subito"
    CORREZIONE:
    Errore di battitura: Quasndo...

    ORIGINALE:
    "Il figlio di peter Langstorm. Si" concluse per lui Gambon.
    CORREZIONE:
    Gambon conclude la frase, quindi, dovrebbe farlo finendo la domanda:
    "Il figlio di Peter (con la 'P' maiuscola...) Langstorm? Si..."

    ORIGINALE:
    'Brutta storia' pensò Jo. poi, dopo essersi assicurato che Gambon non sopsettava di lui, accompagnò Viola a casa.
    CORREZIONE:
    "Poi" (con la P maiuscola);
    Errore di battitura: "sopsettava";
    Meglio il congiuntivo: "che Gambon non sospettasse di lui".

    ORIGINALE:
    "Tra poco sarà qui. E' meglio se non sbaglia, agente"
    CORREZIONE:
    Credo che, anche qui, ci starebbe meglio il congiuntivo: "che non sbagli"

    RispondiElimina
  10. Devo dire, nuovamente, che questo racconto è stupendo.
    Adoro le descrizioni e soprattutto il vecchio crocefisso.
    Poi il latino è stato un colpo di genio: mi piace trovarlo nei libri che leggo e spesso lo uso anch'io per scrivere, ma in questa occasione non c'era niente di più azzeccato. Una sola cosa mi lascia perplesso: la morte di Cartbury, a mio parere, è troppo prematura e non mi convice che muore perchè gli staccano la testa.
    Complimenti comunque e sempre

    RispondiElimina