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sabato 13 novembre 2010

CAPITOLO 6- REQUIESCAT IN PACE


Jo aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Era come paralizzato da un terrore che non riusciva a comprendere, anche se sapeva di dover mantenere la calma, ma non era di se stesso che si preoccupava: Viola aveva bisogno di lui in quel momento e doveva rimanere lucido. Aveva chiamato lo sceriffo e un'ambulanza. Gambon era arrivato poco dopo l'aggressione, mostrandosi sconvolto; aveva abbracciato Viola e poi aveva voluto vedere il corpo di Cartbury: aveva guardato il giovane agente con un'espressione che era tra l'afflitto e il furioso.
"Che diavolo ti è preso, Stephen?" l'aveva sentito mormorare. Jo si rese conto che lo sceriffo doveva tenere molto a quel ragazzo e scoprire che prima di morire aveva cercato di uccidere la figlia doveva averlo scosso più di quel che si poteva immaginare. Ma com'era morto? Questo Jo non era riuscito a capirlo. Ma la sensazione che ci fosse dietro qualcosa di orribile e al di sopra dell'umana comprensione non lo abbandonava: aveva sentito una voce che niente aveva di umano ordinare a Cartbury di uccidere Viola, cosa che lo aveva ulteriormente inquietato. Era certo di averla sentita sbraitare qualcosa a proposito di uno "Straniero" e non riusciva a smettere di pensare che in qualche modo si stesse riferendo a lui. Aveva sognato? Era colpa dello stress? Jo ne dubitava: era stato tutto così terribilmente reale. Sentiva che anche Viola aveva avvertito qualcosa di strano, ma non era quello ilo momento di parlarne. Gambon aveva preso da parte Jo e gli aveva chiesto, non senza un certo imbarazzo, di restare da sua figia per quella notte, dal momento che lui doveva urgentemente tornare in centrale per interrogare Reginald Langstorm. Ovviamente Jo era d'accordo con lo sceriffo: Viola era ancora scioccata dall'accaduto.
Mentre Jo sedeva sul divano nel soggiorno di Viola, lei era sotto alla doccia, da parecchio tempo ormai, ma lui non aveva osato disturbarla. Ci voleva del tempo prima che si riprendesse. All'improvviso si trovò ad immaginare il suo corpo nudo, con l'acqua bollente che scivolava lungo la schiena, i capelli bagnati che ricadevano sulle spalle e le labbra carnose con qualche stilla che pendeva, in procinto di cadere. Jo trovava tutto questo assurdo: in fondo chi era Viola Gambon? L'aveva conosciuta solo poche ore prima, dannazione! Eppure cos'era quella stretta al cuore che sentiva ogni volta che la guardava? L'aveva sentita poche volte nella vita e fino a pochi giorni prima la sua più grande paura era stata risentire quella sensazione. Non voleva più sentirsi in quel modo: vulnerabile. Tre volte. Era stato innamorato solo tre volte nella sua vita e sempre aveva sentito quella particolare stretta, quel desiderio di avere di fianco quella persona per sempre, di non abbandonarla mai. La prima volta aveva sedici anni, lei si chiamava Rebecca: alta, capelli scuri, una gran personalità. era spiritosa e soprattutto si era dimostrata fin da subito interessata a lui e lo era stata per i tre anni successivi finchè
(Ciuf Ciuf, JoJo! E Rebecca? Puf!)
non era stata investita da un treno, una notte in cui avevano litigato. Il rumore dell'acqua proveniente dal bagno poco distante era come ipnotico ed era facile perdercisi: Jo non pensava più a rebecca da anni ormai, ma in quel momento la sua mente era come rilassata, sembrava che i ricordi dolorosi stessero sgorgando da una sorta di rubinetto mentale rotto. Ma forse sgorgare era un termine improprio, sarebbe meglio dire che stavano sgocciolando. 'Ecco, sgocciolare è più adatto' pensò Jo, mentre ripensava alla notte in cui aveva litigato con Rebecca. Era stata una cosa stupida, in fondo: lei le aveva confessato che Steve Gross l'aveva baciata qualche sera prima. Ma lo aveva rimesso subito a posto con un paio di sberle. A quel punto Jo non era riuscito a trattenersi ed era sbottato: possibile che non avesse pensato subito di dirglielo? In fondo erano anche affari suoi, no? Da li era seguita una discussione che si era accesa a poco a poco, sempre di più, fino a che non si era incendiata e lei non era uscita di casa
(Uh si si JoJo! Vivevate insieme ricordi? E tu l'hai spinta ad andare alla stazione!)
senza dire più una parola. Non l'aveva inseguita. Non l'aveva supplicata di rimanere. Non le aveva detto che si sentiva stupido -e solo il cielo sapeva quanto si sentisse stupido in quel momento- e non le aveva detto quanto l'amava. Era andata alla stazione per tornarsene dai suoi, non voleva saperne di passare la notte con lui vicino. Erano solo due ore di treno, era già successo. Aveva attraversato il binario al buio, aveva i tacchi (erano tornati da una festa, erano tutti e due in ghingheri)ed era inciampata. Non sapeva bene cosa fosse successo, se non avesse sentito il treno che stava per arrivare, forse era distratta
(e chissà perchèèèèèèè?)
sta di fatto che non aveva fatto in tempo a staccare il tacco dalla ghiaia che era stata travolta. Aveva pianto, si era disperato, aveva anche pensato di uccidersi. Era diventato una larva, non esisteva più e si riteneva responsabile di quello che era successo. Ma con gli anni aveva imparato a perdonarsi e a farsi perdonare: non l'aveva spinta lui sotto il treno. Si avevano avuto uno stupido litigio, ma avevano diciannove anni santo Dio! Tuttavia dovettero passare sette anni prima che Jo riuscisse a prendere sonno senza vedere il volto di lei, furente, mentre lasciava l'appartamento.
Aveva ventisei anni quando incontrò Nora. Lei era bella, in gamba e soprattutto usciva da una situazione molto simile alla sua: tre anni prima il suo ragazzo era morto in seguito ad un cancro che lo aveva divorato lentamente. L'aveva conosciuta al suo gruppo di sostegno psicologico: a quanto pare aveva provato a togliersi la vita tagliandosi i polsi, ma era stata salvata in tempo e di questo Jo ne era stato grato; grazie a lei era riuscito a ripartire, a rimettersi in carreggiata. La loro storia durò parecchio, circa tre anni, in cui si amarono alla follia, fino a che un giorno, tornando a casa dal lavoro, Jo non l'aveva trovata sdraiata sul letto, riversa in una pozza del suo stesso vomito. Sul comodino c'era un flacone di sonniferi vuoto, con una singola pillolina color ambra vicino all'abat-jour. Non una riga, non una sola parola sul perchè l'avesse fatto. Niente di niente. Semplicemente aveva afferrato il flacone con le pillole e se l'era svuotato in gola, senza un apparente motivo: lui la vedeva felice, l'aveva sempre creduta felice al suo fianco. Probabilmente si era sbagliato. Quella volta il colpo fu durissimo: sprofondò in una depressione spaventosa e credeva che non ne sarebbe più uscito, ma quando ormai aveva perso le speranze incontrò Rhonda. La terza donna che ebbe mai amato(ovviamente aveva avuto altre storie, ma niente di veramente serio). Quando la conobbe aveva più di trentacinque anni ed era un professore stimato nella scuola in cui insegnava letteratura. Lei era una sua collega, non era particolarmente bella, ma a lui piaceva: non tanto alta, biondastra, leggermente tozza ma con due occhi spalancati che lo facevano vibrare di stupore ogni volta che vi piantava dentro lo sguardo. la amava ma dentro di lui si agitava ancora qualcosa, una paura incredibile: non voleva che lei facesse la fine delle altre due
(le hai uccise tu Jo, le hai uccise con il tuo comportamento, non ti sopportavano!)
donne che aveva amato. Beveva. beveva tanto e senza misura, così che aveva iniziato ad odiarsi e questo odio lo riversava su Rhonda. la picchiava, forte e con rabbia. Perchè, se l'amava e voleva proteggerla? Perchè era caduto e non riusciva a rialzarsi, pensava ogni volta. Era arrivato al punto di ucciderla quasi: l'ultima volta si era fermato con la mazza da baseball a mezz'aria, pronto a spaccarle il cranio mentre lei piangeva. Lo stava per lasciare, voleva fuggire, non poteva farlo. Ma in un lampo di lucidità di era guardato allo specchio e aveva visto cos'era diventato: un mostro. Un mostro disgustoso. L'aveva lasciata andare e non ne aveva più avuto notizie. Due giorni dopo un agente di polizia si era presentato a casa sua e lo aveva portato in centrale per fargli un mucchio di domande: Rhonda era scomparsa. Dispersa. Sospettavano di lui, credevano che l'avesse uccisa, dal momento che i genitori di lei avevano spèorto denuncia. Fu così che venne a sapere che mentre lui saliva le scale con una mazza da baseball lei aveva tentato di chiamare suo padre, ma la comunicazione era caduta subito, aveva avuto giusto il tempo di chiedere aiuto e collegare le cose era stata questione di secondi.
Si era fatto una settimana demtro per percosse ma alla fine avevano appurato che lui non l'aveva uccisa. Il corpo non fu mai trovato, ammesso che fosse effettivamente morta. Era passato un anno da allora e stava cercando di cambiare vita, per questo era finito a West Coburn. Per darsi una ripulita: era sobrio da mesi e non aveva più cercato di stare con una donna, ne aveva paura. e ora era seduto sul divano di Viola, a pensare a lei, a volere lei, a desiderare lei. Non poteva essere amore, era assurdo, non la conosceva! ma provava quella sensazione, si sentiva bene. Si sentiva alla grande, tralasciando i presentimenti inquietanti delle ultime tre ore. Ma non capiva come fosse possibile, dopotutto lui non sapeva chi fosse Viola Gambon, eppure si ritrovava a sentirsi quasi innamorato di lei. Era assurdo.

Viola aveva finito la doccia e ora stava davanti allo specchio appannato: si sentiva esattamente come la sua immagine in quel momento. Appannata, sfocata, non capiva il senso di se stessa in tutto quello che stava passando. Un orrore mostruoso stava esplodendo nella sua vita e anche in quella di altre persone, con una violenza inaudita. Pat, quel barbone, gli infermieri alla clinica, Cartbury. Con quella pistola. Quell'odio negli occhi. E Langstorm, assassino improvvisato. Sentiva un brivido dietro alla schiena e avvertiva una sgradevole sensazione, come se sapesse che stava per succedere qualcosa di terribile. Di "ancora" più terribile. Aprì il rubinetto del lavandino e non uscì nulla, solo un sibilo soffocato. "Ma che..." sussurrò lei.

Un urlo agghiacciante riportò Jo alla realtà: veniva dal bagno e quella era inequivocabilmente la voce di Viola. Si precipitò in bagno e rimase pietrificato da quello che vedeva: Viola era contro il muro, con l'accappatoio azzurro aperto e il corpo nudo in bella vista, ma al momento Jo non ci fece caso. Non poteva. Viola aveva un corpo fantastico,certo, con quei seni tondi e perfetti, ma in quell'istante Jo non li vedeva neppure perchè la sua attenzione era assorbita da qualcosa di orribile: il lavandino era in frantumi e tra i cocci strisciava qualcosa di enorme e disgustoso, nero. Sulle prime Jo non seppe identificarlo, ma una cosa la intuiva perfettamente: era pericoloso. Passarono pochi secondi di shock prima che si rendesse conto che aveva di fronte un gigantesco serpente sibilante che si avviluppava su se stesso in numerose spire. 'Dio mio, che diavolo è questa cosa?' pensò Jo terrorizzato, ma non doveva lasciarsi prendere dal panico, Viola era spaventata dietro di lui e doveva proteggerla. senza pensarci due volte, afferrò una bottiglia di vetro duro contenente sali da bagno dalla mensola alle sue spalle e la sfondò contro il muro, pronto a piantare il collo spezzato nella carne della bestia viscida che si stava
(srotolando)
preparando ad attaccare, 'Perchè sta facendo questo, giusto?' pensò Jo 'Si sta preparando ad attaccare'. Il serpente era largo quanto due braccia umane messe vicine e i aveva il muso piatto, con due occhi lattiginosi che sembravano due pozzette di marmellata ammuffita incastrate nei lati del cranio. ma era la lingua la cosa più disgustosa: giallastra e triforcuta, sempre in movimento e stillante una bava biliosa.
"Lentamente" disse Jo rivolgendosi a Viola pur senza staccare lo sguardo dalla bestia "Vai di là, senza fare movimenti bruschi. vai e aspettami". Viola era paralizzata, ma si costrinse a muoversi.
"Ma tu cosa..." tentò di dire, ma Jo la allontanò con un gesto del braccio. Doveva concentrarsi. Per prima cosa: da dove diavolo era sbucato? D'accordo, aveva sfondato il lavandino squartando persino il rubinetto di metallo che ora era accantonato sulla montagnola di cocci, ma questo com'era possibile? Non aveva mai sentito parlare di serpenti tanto grossi che sbucano dal rubinetto, non in quello stato, perlomeno. Ma soprattutto non aveva mai visto nemmeno in foto una bestia disgustosa come quella e nemmeno sapeva di serpenti dalla lingua biforcuta. Quella creatura scaturiva da un incubo rivoltante, per quanto questo potesse sembrare incredibile. Ma Jo stava iniziando a capire che qualcosa non andava a West Coburn e per quanto si sforzasse di stupirsi, non ci riusciva: era come se nel suo cuore avesse sempre saputo che qualcosa di inconcepibile stava per accadere. Piantò lo sguardo su quel muso triangolare e piatto e fissò quelle vomitevoli gelatine biancastre che il serpente aveva oer occhi: erano grandi e al loro interno non c'erano pupille verticali, nossignore. dentro ciascun occhio si muovevano minuscoli insetti neri, che si dibattevano come se fossero intrappolati in quella melma lattiginosa. Era pericoloso, Jo lo sapeva. 'Ssssssssicuro!' sibilò una voce inumana che echeggiò nella testa di Jo. 'Lo ssssssono. E ora togliti Ssssssssstraniero. Non è te che voglio'. Il serpente stava parlando. 'Cazzo' pensò Jo 'E' la stessa voce che ho sentito poco prima che Cartbury attaccasse Viola'.
"Chi sei?" gridò Jo "Cosa diavolo sei?". Il serpente si srotolò e iniziò ad alzarsi: a poco a poco arrivò a toccare il soffitto con la testa: doveva essere almeno tre metri e ancora la coda guizzava in spire furiose sul pavimento, spazzando i cocci del lavandino e facendoli tintinnare come docili maracas. Jo era impotente, o meglio, lo sarebbe stato se non gli fosse venuta in mente una cosa e fu come un lampo nel cervello: cartbury non aveva attaccato subito Viola, perhè non voleva fare del male a lui. Qualunque cosa fosse quella, non lo avrebbe attaccato. Osservò le zanne del serpente: erano quattro -due superiori e due inferiori- che spuntavano dalla bocca esageratamente spalancata, tanto che le ossa del cranio si stavano slogando lentamente; ciascuna di quelle zanne era bianca come la neve e grande quanto due degli indici di Jo messi in fila e acuminata come un rasoio. Jo spinse rapidamente la mano verso il corpo gigantesco dell'animale ma per poco non morì di paura: la testa del serpente saettò rapida verso di lu e se non si fosse abbassato provvidenzialmente gli avrebbe staccato la testa con un morso. Invece frantumò le piastrelle che ricoprivano la parete alle sue spalle, provocando un gran frastuono. Jo ne approfittò per conficcare il collo di bottiglia spezzato nel fianco dell'animale: la carne nera si squarciò con un rumore disgustoso, come di salsa grumosa che viene gettata sul pavimento all'improvviso; dalla ferita sgorgò un fiotto di sangue denso nel quale nuotavano grossi insetti simili a mosche, solo più grossi. Jo non riuscì a trattenersi e vomitò, scosso da conati violenti: si riprese giusto in tempo per vedere la testa del serpente che con un sibilo irato guizzava nuovamente verso il suo viso. Ebbe appena il tempo di afferrare un coccio di specchio -quando si era rotta la specchiera?- e frapporlo lungo la traiettoria della bestia immonda: sentì che il suo braccio veniva ingoiato per metà, ma le zanne non lo sfiorarono. Il coccio che aveva in mano sporgeva con la punta affilata verso l'alto e venne inghiottito insieme al suo braccio, conficcandosi nel tenero palato del bestione, che quasi non si accorse di andare incontro alla morte cercando di fagocitare la sua preda. Il pezzo di vetro squarciò la carne del serpente conficcandosi fino all'osso del cranio e frantumandolo. Il tutto accadde nel giro di due secondi: Jo avvertì uno strappo gorgogliante e quando riapri gli occhi aveva il braccio affondato in un gigantesco serpente con la testa aperta a metà, il sangue grumoso che gli inzaccherava la manica fino alla spalla. Estrasse il braccio disgustato e si levò di dosso alcuni mosconi inzuppati di quel fetido sangue nerastro. osservò attonito lo spettacolo che aveva di fronte: il serpente era gigantesco, riempiva completamente la stanza e nel trambusto Jo non si era accorto molto di quello che succedeva intorno, ma la bestia dibattendosi aveva infranto la specchiera e frantumato il vetro della doccia, per non parlare delle mensole che aveva abbattuto. Quello era un campo di battaglia e il grottesco animale aveva perso. Viola era poco dietro la soglia del bagno e osservava Jo con uno sguardo colmo di terrore cieco: cosa diavolo stava succedendo?
"Dovremmo chiamare mio padre" disse lei con un filo di voce, trattenendo il vomito.
"Sarebbe la cosa migliore da fare, ma vorrei prendermi un attimo" ribattè Jo "Forse dovremmo semplicemente fermarci un secondo per pensare, io..." ma non sapeva che altro dire. Aveva improvvisamente una sete del diavolo. La vecchia sete del diavolo, quella che lo spingeva ad aprire l'armadietto dei liquori e saccheggiarlo, quella che lo ottenebrava facendogli bruciare la gola, facendolo regredire ad uno stato quasi animalesco. Quale momento migliore per farsi un goccio? Aveva appena ucciso una specie di bestia mutante uscita dallo scarico di un lavandino dannazione! Era scioccato, ne aveva bisogno. Invece guardò Viola negli occhi e la sete scomparve, o meglio, si calmò notevolmente. Le si avvicinò e la abbracciò e lei si abbandonò al suo abbraccio, molle di paura e di stanchezza: aveva un gran bisogno di dormire.
"Facciamo così" disse Jo "Vai a letto, io starò di guardia. Tra qualche ora chiameremo tuo padre, per ora non credo ce ne sia bisogno".
"Ne sei sicuro?" chiese lei.
"Sicuro" disse lui. Ma sentiva che non si stava comportando come avrebbe richiesto la situazione, era come se stesse agendo spinto da un impulso nascosto nella sua mente. Gli venne in mente il comportamento di gambon poche ore prima quando voleva arrestarlo: subito aveva cambiato idea e lo aveva addirittura lasciato con sua figlia. Non era normale, non era logico. E non era logico che lui adesso reagisse con tutta quella calma di fronte all'orrore che era accaduto, ma allora perchè sentiva che doveva agire in quel modo? Era troppo stanco per rispondere a quella domanda: era così che sentiva di dover gestire tutto quanto ed era così che avrebbe fatto; Viola andò in camera sua e si mise nel letto, dopo pochi minuti sprofondò in un sonno irrequieto. Jo ne approfittò per cercare un modo di sbarazzarsi del serpente: prese dalla cucina un grosso sacco nero di quelli della spazzatura e frugò nei cassetti in cerca di un coltello o di qualunque attrezzo per tagliare il corpo del bestione. trovò una mannaia, la prese e si diresse verso il bagno.
"Cazzo!" esclamò. La specchiera era in frantumi, il lavandino distrutto e le mensole erano ancora per terra con tutto quello che avevano sostenuto sparso intorno, ma in tutto quel macello non c'era traccia del serpente, nemmeno l'ombra.


Reginald Langstorm era sdraiato sulla brandina nella cella che si trovava all'interno del posto di polizia di West Coburn. Aveva lo sguardo fisso verso l'alto, ma non stava fissando nulla: aveva spento la vista, se così si può dire,per concentrarsi su immagini puramente mentali. Vedeva una gigantesca sagoma nera che si muoveva lentamente nella penombra: un'armatura lucida, con un elmo grottesco che aveva un lungo pennacchio rosso, dalla cui celata echeggiava una risata demoniaca. 'E' qui. E' sempre stato qui e adesso mi ha preso' pensò disperatamente Reginald. Si riscosse e la stanza riapparve davanti ai suoi occhi. Si alzò a sedere, toccandosi il volto incrostato di sangue: si era quasi dimenticato di quello che aveva fatto. Non che provasse rimorso, Lui non gli permetteva assolutamente di provarne ed era l'unica cosa di cui gli era grato. ma quando non avesse avuto più bisogno di lui allora lo avrebbe fatto rinsavire e si sarebbe reso conto degli orrori che aveva commesso. reginald sapeva di essere in un certo senso posseduto, ma lo stesso non poteva reagire: faceva quello che gli veniva chiesto pur essendo conscio di non volerlo fare. Sarebbe impazzito del tutto, ovvio. Era riuscito ad isolarsi per tutto quel tempo, ma ora... ora era tutto inutile, Lui era più forte e ora iniziava a diventare reale. Tutto quello che Lui pensava, iniziava a non essere più solo nella mente delle vittime e questo Reginald lo sapeva: anni prima tutte quelle creature le aveva viste, ma sapeva che non erano reali, certo, se una di loro lo attaccava, sentiva dolore, ma era nella sua testa. Il reverendo invece aveva un taglio sul corpo dove la creatura lo aveva attaccato: era diventata vera, non del tutto forse, ma sicuramente più di prima. Lui stava risorgendo ed entro poche ore sarebbe stato ovunque, come un fiume in piena. E di Lui Reginald aveva una paura del diavolo. Rise a pensarci: aveva una paura del diavolo, ma ciò di cui aveva paura era peggio del diavolo, perchè Lui esisteva. Il diavolo forse, ma Reginald non l'aveva mai visto, mentre Lui si. O meglio, aveva visto quello di cui era capace, non lo aveva mai individuato fisicamente, non sapeva dove si nascondeva, ma era certo che fosse da qualche parte nel buio, a West Coburn. 'Papà perchè?" pensò 'Perchè dovevi dargLi tutte quelle idee?'. Pensò a suo padre Peter e a quello che aveva inconsapevolmente fatto: aveva condannato la città, lo aveva fatto senza rendersene conto. però lo aveva fatto. 'Ancora poche ore e scoppierà l'Inferno' continuò a pensare 'E io ho paura, papà. Ho paura perchè sono stato curioso, anni fa'.
"Sono stato stolto" sussurrò "E lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo..." ma qualcun al tro continuò per lui.
"...Ci cade dentro". La voce veniva da sotto alla branda. Reginald rabbrividì: non voleva guardare.
"Reeeeeeeeeeginald" cantilenò la voce, profonda e demoniaca.
"Non sei reale" disse lui.
"Smettila Reginald2 replicò la voce "Ora lo sono molto più di prima. Sto mangiando, mi sto rimettendo in forze! Corpo di mille balene!". Reginald era terrorizzato: la voce era diventata quella di Braccio di Ferro, il suo personaggio preferito di cui non si perdeva un cartone animato da bambino.
"Sto mangiando i miei spinaci! Tutti voi, siete i miei spinaci!" sghignazzò la voce. reginald si tappo le orecchie ma una mano fredda, metallica gli si appoggiò sul polso. Gridò. Crandon, era Crandon, era sempre stato Crandon!
"Crandon!" urlava Reginald "Crandoooooooon!" e le risate demoniache si amplificavano, rimbombavano. La mano stringeva il suo polso ed era gelida, il metallo del guanto di metallo nero era bruciante. Langstorm aprì gli occhi e vide distintamente il cavaliere, con il suo elmo e il pennacchio rosso.
"Basta stragi per ora, Reginald. Tu sei un messaggero. Porterai il tuo messaggio" disse il cavaliere con la sua voce demoniaca. Non era più Braccio di Ferro, ma Reginald lo avrebbe preferito.
"Che messaggio?" domandò, spaventato.
"Oh vedrai.Anzi, Reg, te lo mostro subito" e nel dire queste parole appoggiò un dito guantato sulla fronte di Langstorm. Fu come un fulmine: Reginald sentì la testa esplodergli e vide. Vide tutto quello che sarebbe accaduto, vide che cosa voleva fare Lui attraverso il cavaliere, attraverso tutti gli orrori che era in grado di generare. lo vide e lo sguardo gli si spense. Crollò per terra e lì rimase, con gli occhi aperti che non vedevano nulla. Era partito e non sarebbe tornato per qualche ora ancora. Gambon, che aveva sentito le urla, accorse quando già era svenuto. del cavaliere nessuna traccia, c'era solo lui a terra, con lo sguardo vitreo.

Nella stanza buia il corpo immobile sussultava di piacere. Era finalmente iniziato per davvero: si era nutrito delle loro paure e adesso poteva veramente raggiungerli, tutto ciò che creava era vero. Ancora debole rispetto a quello che sarebbe stato, ma vero: poteva ferirli e lasciare tracce sui loro corpi molli. Si sarebbe divertito, oh se si sarebbe divertito. E aveva anche spaventato lo Straniero, gli aveva fatto capire che con Lui non poteva dettare legge, nossignore. Ma aveva fallito, non aveva ancora ucciso la ragazza e forse ancora non ne era in grado, tuttavia era rimasto stupito. Non credeva di poter creare quelle creature fin da subito, per questo aveva usato Cartbury: perchè non poteva ancora essere ovunque. Ma da poche ore, da quando lo Straniero lo aveva sentito parlare, era diventato più forte e poteva farle apparire dove voleva in città. Poche ore e sarebbe dilagato come un'epidemia. "Tanto mi piace giocaaaaaaaaaaar" canticchiò la voce demoniaca, ridendo come un bambino.

Viola si era svegliata da poco e stava facendo colazione, mentre Jo i faceva una doccia, dopo che aveva ripulito il bagno da tutti i cocci: li aveva infilati nel sacco nero e aveva dato una spazzata. Nel pomeriggio sarebbe stato celebrato il funerale del giovane Pat Turner, nonostante il reverendo fosse morto da poche ore. Il suo funerale doveva attendere l'autopsia, così come quello del barbone. la cerimonia del funerale sarebbe stata officiata da Padre McGuill, un giovane prete irlandese che si trovava a West Coburn come ospite della parrocchia; non conosceva molto bene il reverendo, ma quando in mattinata aveva appreso la notizia dal telegiornale aveva pianto: forse non lo conosceva più di tanto, ma abbastanza per dire che era un grande uomo che aveva saputo affrontare egregiamente le difficoltà che la vita gli aveva riservato. padre mcguill si trovava in chiesa in quel momento e stava confessando alcuni fedeli rimasti temporaneamente senza guida spirituale. Al momento stava confessando una donna molto bella, che doveva avere quarant'anni. aveva i capelli neri striati di grigio e uno sguardo molto triste.
"Ho avuto un sogno questa notte, padre" disse lei.
"Un sogno?" domandò lui con un forte accento irlandese nella voce.
"Si. Era tutto buio, ma stringevo una persona tra le braccia. Mio figlio. Lo avevo ucciso con un coltello che era caduto ai miei piedi" e iniziò a singhiozzare.
"Crede che questo voglia dire qualcosa? ha mai pensato a fare del male a suo figlio?" si informò il reverendo preoccupato.
"No, no! Vede,circa otto anni fa mio figlio scomparve. Trovarono i resti del suo corpo nel bosco".
"Ma è terribile! E lei... lei si sente responsabile di questo?".
"Ogni giorno della mia vita".
"Come si chiama?".
"Sandra" disse lei "Sandra Reagan".
"Sandra, perchè dovrebbe essere responsabile della morte di suo figlio?".
"Io... io non lo so. Era a giocare non so dove. Forse... forse se io...".
"Lei non ha colpe Sandra. E' giusto che lei cerchi un conforto spirituale, ma lei non ha colpe".
"ne ho molte invece. So di averne".
"sandra, forse lei dovrebbe rivolgersi a qualcuno che possa aiutarla. Un consulto psicologico, ecco2.
"Niente può togliermi questo senso di colpa. Speravo che parlare con un uomo di fede mi avrebbe aiutata, ma...".
"La capisco. Se vuole possiamo parlarne approfonditamente quando non c'è nessuno".
"Si... credo che mi farebbe bene. Ora mi scusi, devo andare".
"Spero di rivederla" concluse Padre McGuill mentre Sandra usciva dall'altra parte del confessionale.
la donna si diresse verso le panche di legno: su una di queste era seduta una ragazza, sui diciotto o diciannove anni. Era straordinariamente bella: fissava il crocefisso con due occhi scuri incredibili, dal taglio allungato anche da un velo di matita nera agli angoli; i capelli erano lunghi e mossi, quasi neri, che ricadevano sulle spalle. Le labbra erano carnose e splendide, il naso grazioso e dritto; indossava un giubbotto di pelle liso e sotto un dolcevita nero e un paio di jeans. Vedendo Sandra arrivare si alzò in piedi mostrando un fisico magro e intrigante. Si pizzicò uno cei cerchietti d'argento che aveva appeso al lobo sinistro.
"Mikaela" disse Sandra "Potevi metterti qualcos'altro" continuò indicando il giubbotto consumato.
"Non credo che se ne abvrà a male per questo" disse Mikaela indicando il crocefisso.
"Non essere blasfema" la rimproverò Sandra.
"Scusa mamma" replicò lei "E' che non capisco perchè hai voluto che venisii". Aveva una voce calda.
"Avevo bisogno di sapere che qualcuno mi sta vicino" ribattè Sandra e si avviò verso l'uscita della chiesa.
Mikaela la seguì e Padre McGuill osservò con curiosità, da lontano, il giubbotto di pelle che la ragazza indossava: sul retro aveva dipinto un teschio bianco, disegnato con uno stile da cartone animato, era simpatico.
Mikaela intanto pensava a sua madre e a tutto quello che aveva passato. lei aveva undici anni quando suo fratello Jeremy era scomparso. era solo un bambino di sette anni. Avevano trovato i resti carbonizzati nel bosco pochi giorni dopo e i suoi genitori non erano più stati gli stessi: suo padre era sempre silenzioso e taciturno e sua madre era malinconica e assente perchè si incolpava di quanto era accaduto. Non si sapeva chi fosse stato ad ucciderlo, ma Mikaela era convinta che ci fosse qualcosa di inquietante sotto. faceva sogni. Sogni terribili riguardo a un pozzo. e sentiva sempre nel sonno una frase: "Lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo, ci cade dentro". Erano giorni che questo sogno lo tormentava e non poteva fare a meno di sentire che c'entrava con la morte di suo fratello. Prima di salire in macchina si legò i capelli e per un istante stette ferma con entrambe le braccia sollevate e le mani affondate nella massa scura della chioma: in quella posizione era graziosa, con l'espressione imbronciata e lo sguardo leggermente assente, assorto in quei cupi pensieri. 'lo stolto che si sporge....' pensò. Cosa diavolo poteva voler dire?

Erano le due e mezza e la chiesa era gremita di gente. Jo era accanto a Viola, la quale singhiozzava sommessamente: stava dando l'addio definitivo a Pat. un pezzo di lei che se ne andava. 'Cos'hai combinato, Patrick?' pensava. I genitori del ragazzo erano distrutti e il padre era scosso dal pianto, appoggiato alla spalla della moglie che non aveva una cera migliore. Padre Mcguill intanto parlava e diceva cose sulla morte e la resurrezione dell'anima. Jo trovava tutto questo deprimente e sconfortante: lui non sarebbe nemmeno dovuto essere li. Aveva ancora in mente il serpente che era scomparso: non potevano esserselo immaginato, eppure non c'era più e nemmeno il sangue che aveva perso c'era; aveva lasciato però la devastazione nel bagno, segno inequivocabile della sua preenza. Doveva parlarne a Gambon, doveva capire cosa diavolo stava succedendo. Ma dov'era Gambon? Aveva forse avuto problemi con il figlio di Peter Langstorm? Poi accadde una cosa strana: Jo vide il coperchio della bara sussultare. Non poteva essere. eppure l'aveva visto! E come se non bastasse ecco che lo vide sussultare di nuovo. "Aiutami!" urlò una voce. Jo rabbrividì. "Aiutami tu1 Tu, quello vicino a Viola! Aiuttami! Non sono morto! Aiutami!". Jo si alzò e uscì dalla Chiesa. Sentiva che avrebbe vomitato presto.
"Ma che cazzo ti prende?" sbottò Viola alle sue spalle. Lo aveva seguito.
"E'... Lo so che non è possibile. Ma... ho sentito pat turner, chiedeva aiuto".
"Jo se è uno scherzo ti assicuro che non..." cercò di dire lei, disorientata.
"L'ho sentito!" gridò lui "Diceva di essere vivo in quella bara!".
"Sei sicuro?" chiese lei.
"Si! Ma non troveremo nessun ragazzo pimpante aprendola. Sono voci, è da ieri che le sento. Lui è morto, Viola. ma per qualche strano motivo io lo sento. Ha a che fare con Cartbury, con il serpente, con tutto quanto!".
"Jo ma che ti prende?" disse Viola, abbracciandolo.
"Non lo so. Non la senti anche tu? Quella sensazione che stia per succedere qualcosa si terribile?".
"Si. Ora più che mai".
"Stammi vicino, ti prego" disse Jo. i loro volti erano vicinissimi. le loro labbra quasi in contatto. Ma non ci fu alcun bacio. Invece furono interrotti dalle grida. tante, terrorizzate.
"Ma che..." disse Jo.
Una massa di persone uscì urlando dalla chiesa, e dal portone aperto Viola vide cos'era successo: la bara aveva preso fuoco, o meglio: lingue di fuoco erano scaturite dal feretro come da un lanciafiamme ed era scoppiato l'inferno.
Jo sentì la risata echeggiargli in testa e cadde in ginocchio: "L'ammazzerò, bastardo. Tutti vi ammazzerò. Tutti!". La voce era spaventosa e gli martellava nella testa, assordandolo. "Tutti! Brucerò questo lercio buco dimenticato da Dio e vagherò sulle terre degli Uomini per sempre!". Jo aprì gli occhi: la chiesa era in fiamme e le nuvole di fumo nero come la pece per un attimo gli sembrarono un volto. E che gli venisse un colpo se non era quello di Rhonda.

Erano le tre del pomeriggio e Gambon era ancora in ufficio: non poteva andare al funerale, non dopo quello che era successo con Langstorm. Doveva capire, doveva sapere. Cosa stava succedendo nella sua città? Cosa diavolo stava... i suoi pensieri furono interrotti dall'ennesimo grido. Era Langstorm, ancora lui. Accorse e lo vide in piedi, attaccato alle sbarre.
"Crandon! Crandon! Crandooooooooon!" urlava. Non era più decisamente catatonico.
"Cosa? Cos'è Crandon?" disse Gambon "Parla! Parla!".
"Non posso venire" disse Langstorm "Non posso venire e mi sento sciocco, ma ho troppa, troppa paura del nono rintocco".
"Come?" chiese Gambon stupito.
"Non posso venire e mi sento sciocco, ma ho troppa, troppa paura del nono rintocco".
"Samson" disse Gambon rivolgendosi al suo sottoposto "Chiama Viola, è urgente. falla venire anche se è al funerale".
"... troppa paura del nono rintocco" continuava a ripetere langstorm.
"Cazzo" disse Gambon "Cazzo!".


La signora Frida Nelson era tornata a casa dal funerale, sconvolta. Quello che era successo er a dir poco tremendo: la bara del povero giovane Turner che prendeva fuoco e incendiava la chiesa. Era orribile. Frida era ormai sui sessant'anni e si era rassegnata a diventare una vecchia zitella, ma l'unica cosa che la faceva sentire ancora utile era suo padre. Il vecchio Chad Nelson: un vegetale che stava morendo lentamente al piano di sopra della sua casa e di cui lei si occupava amorevolmente. Salì le scale di casa sua ed entrò nella stanza: era buio pesto e il corpo del vecchio steso nel letto aveva un tremito, come un sussulto ogni tanto. Frida notò che gli occhi si muovevano sotto alle palpebre incartapecorite. Strano, di solito era tranquillo. "Papà, non immagini cos'è successo oggi al funerale" iniziò. Stava ore a parlare con lui. ma ora sembrava diverso, come se avesse riacquistato coscienza di se anche se era ancora in coma. ma non ci diede troppo peso.
Nel giardino della casa di Frida faceva freddo e il vento soffiava tra le fronde del pesco, scuoteva l'altalena di legno che aveva fatto installare per la nipotina. Soffiava echeggiando nel vecchio pozzo sul retro. E presto avrebbe soffiato anche più forte.