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mercoledì 21 luglio 2010

CAPITOLO 5- FEDE


Il reverendo Stenson si svegliò di soprassalto ed emise un gemito: nonostante avesse gli occhi spalancati si sentiva avvolto da buio e aveva l'impressione che qualcosa nell'oscurità lo stesse fissando. respirò profondamente e si mise seduto sul letto. 'Non è nulla' pensò 'Il solito incubo. Solo quello'
(i demoni che ti fissano)
Solo un brutto sogno. Erano giorni che veniva perseguitato nel sonno da urla spaventose e sentiva un'aura malvagia che tentava di circondarlo; quando si svegliava si sentiva sconvolto e ricordava solo qualche immagine sfocata: quella notte aveva visto nel sogno una sagoma al chiaro di luna che indietreggiava nel bosco mentre un altra figura gli saltava addosso immobilizzandolo. Era come se avesse avvertito la confusione e la paura della persona che veniva aggredita. Si ridistese e provò a chiudere gli occhi: pregò in silenzio, con le mani giunte sul petto, appellandosi alla misericordia di Dio. Nelle settimane precedenti i sogni non avevano nulla di concreto: era sempre solo nel buio e sentiva un lamento costante che gli risuonava nelle orecchie, poteva avvertire che c'era qualcosa nel buio che rimaneva nascosto, in attesa di uscire e fargli del male. Quella notte era la prima volta che aveva sognato qualcosa che non riguardasse solo lui, ma era certo che il sogno avesse comunque a che fare con quella presenza maligna che lo perseguitava da giorni ormai.
Si era sempre detto che era una sua fissazione, il risultato del grande stress a cui era stato sottoposto negli ultimi tempi, forse era addirittura il principio di un esaurimento nervoso
(non ci sarebbe da stupirsi)
Da quando Elle era morta, pochi mesi prima, si sentiva come perduto, ma non aveva perso la fede: la morte di sua moglie lo aveva anzi avvicinato ancora di più a Dio. Si era rifugiato nella preghiera e nel suo lavoro continuo verso la comunità: il Signore aveva chiamato a se una delle cose che più amava, ma gli aveva lasciato un'infinità di persone bisognose del suo aiuto, persone che non voleva deludere.
Lavorava sodo al centro di accoglienza dietro la chiesa di West Coburn, sia per poter compiere la missione che Dio gli aveva affidato, sia per non permettersi di pensare troppo a Elle: non voleva cadere nel baratro, non quando sapeva di avere la fede a sostenerlo. 'Ma la fede a volte non basta' pensò il reverendo, cercando di riaddormentarsi. Si ricordava bene il giorno in cui era tornato tardi dal centro di accoglienza e l'aveva trovata svenuta in salotto, rannicchiata in una pozza del suo stesso vomito e il sangue rappreso che le otturava le narici e le incrostava il golf azzurro pallido. Quando l'aveva vista in quello stato era sul punto di perdere la testa, ma aveva raccolto le forze e la poca lucidità mentale che gli rimaneva in quel momento e l'aveva portata all'ospedale della città. Solo il giorno dopo dalle analisi era risultato che Elle aveva un tumore al cervello in stadio avanzato
(inoperabile)
Il reverendo ricordava bene l'effetto che aveva avuto su di lui quella parola, 'inoperabile': era come se qualcuno lo avesse trafitto con uno stiletto al cuore, gli era mancata l'aria. 'Inoperabile'. Era come dire che Elle era condannata a morte.
E così fu: nel giro di pochi mesi il reverendo Stenson vide sua moglie soffrire a causa dei dolori atroci e a causa della chemioterapia spaventosamente aggressiva; la vide cambiare aspetto: era dimagrita a tal punto che non sembrava quasi più una donna, piuttosto un esile scheletro asessuato. Ma non avrebbe potuto amarla di più: i suoi occhi, anche se colmi di dolore, erano sempre gli stessi che lo avevano fatto innamorare tanti anni prima e quando la toccava per lavarla o per cambiarle la flebo lei gli cingeva debolmente il polso con le dita ossute e lui sentiva il calore che provava ogni volta che sua moglie lo toccava: era sempre lei, nonostante il drastico cambiamento esteriore. Dentro era sempre la donna meravigliosa e pura che lo aveva accompagnato per gran parte della sua vita e non l'avrebbe abbandonata per nessun motivo al mondo. L'agonia era durata poco più di quattro mesi, i peggiori che il reverendo Stenson avesse mai vissuto e il giorno in cui tutto il dolore ebbe fine fu senza dubbio una prova tremenda per lui.
Era un giovedì pomeriggio e un sole pallido penetrava dalla finestra della camera in cui, stesa nel letto, riposava Elle. Lui era con lei e sapeva che ormai era arrivato il momento: la notte precedente aveva avuto un altro attacco e il dottore che l'aveva visitata a casa aveva insistito perchè fosse trasportata d'urgenza in ospedale, ma ne la paziente ne tantomeno il reverendo avevano voluto accettare. Elle stava morendo, e voleva che ciò accadesse a casa sua, nel suo letto. Il dottore aveva capito, ma li aveva avvertiti che in quelle condizioni la morte sarebbe sopraggiunta nel giro di poche ore.
Il reverendo aveva sorriso a sua moglie e l'aveva guardata: il volto era incavato e la pelle era talmente tesa che gli sembrava di osservare un teschio con gli occhi grandi e sofferenti ancora incastrati nelle orbite. Era andato in bagno e si era inginocchiato dopo aver chiuso la porta: per la prima volta dopo mesi aveva deciso di pregare per l'unica cosa che sapeva non essere possibile.
"Ti prego" aveva sussurrato, scosso dai singhiozzi "Ti prego non prenderla con te. Non Ancora, ti prego". era troppo anche per lui. se Dio era così grande e potente perchè allora non poteva salvare sua moglie? Perchè non la guariva, dopo tutto quello che aveva fatto per lui? Dopo tutti quegli anni passati a credere e a pregare, ad aiutare i più deboli in suo nome? ma sapeva la risposta, anche se in quel momento non lo consolava affatto: 'Dio ha un piano per ognuno di noi' aveva pensato 'Ma perchè quello di Elle è così crudele?'. Non poteva saperlo. Poteva solo continuare ad avere fede, come aveva sempre fatto.
Si era rialzato ed era tornato da sua moglie, aveva pregato per lei e le aveva dato l'estrema unzione. Poi si era seduto accanto a lei, sul letto - lo spazio era sufficiente visto come si era rimpicciolita negli ultimi tempi - e l'aveva presa per mano, per accompagnarla ad andare nel luogo dove non avrebbe potuto seguirla. Era rimasto così per ore e si stava quasi addormentando, quando lei con grande fatica, aveva pronunciato qualche parola sommessa, cercando di mettersi a sedere. Il reverendo Stenson aveva sgranato gli occhi e le aveva detto di non sforzarsi, poi si era avvicinato al suo viso e le aveva chiesto di ripetere: lei lo aveva guardato con gli occhi spalancati e luccicanti, quasi troppo grandi per quel viso così magro, e aveva detto qualcosa.
Il reverendo non avrebbe mai saputo dire se quelle parole fossero pensate o se fossero il frutto del tremendo dolore che sua moglie stava provando in quel momento, però se le ricordava molto bene. Si ricordava la voce flebile e rotta di Elle mentre gli sussurrava nell'orecchio quelle strane parole: "Abbi... fede".
"Come?" aveva detto lui, con il volto rigato dalle lacrime.
"Abbi.. fede... sempre. Non... dubitare" aveva ripetuto lei cercando di sforzarsi per parlare.
"Si" aveva ribattuto lui "Si, amore. Te lo giuro". Poi lei aveva strabuzzato gli occhi e aveva detto qualcos'altro, qualcosa che il reverendo non era mai riuscito a decifrare bene: "Jackson... lo stolto... fondo... pozzo... dentro".
"Che cosa?" aveva chiesto lui, confuso. Ma non aveva ottenuto risposta: gli occhi di elle avevano perso la luce vitale che avevano sempre avuto anche durante la malattia e ora sembravano due grosse biglie inutili. Era morta e lo aveva lasciato solo. Il reverendo era rimasto per ore, fino a notte fonda, abbracciato al corpo esanime di sua moglie. poi era uscito ed era andato in chiesa a pregare, aveva versato tutte le lacrime che poteva produrre e si era addormentato ai piedi dell'altare, sfinito.
Il reverendo rimase a guardare il soffitto per qualche minuto prima di rendersi conto che non riusciva a riprendere sonno. Cercava di non distruggersi il cervello a furia di pensare ad Elle, ma con gli incubi in cui era sprofondato nelle ultime settimane non poteva fare a meno di pensarla per farsi forza.
Doveva assolutamente trovare un modo per allontanarli e mentre pensava a questo gli balenò davanti agli occhi la figura del ragazzo che veniva aggredito. Era tutto molto oscuro, ma era convinto di conoscere quel ragazzo, ne era assolutamente certo.
Dal momento che non sarebbe mai riuscito a riprendere sonno decise che avrebbe potuto recarsi al centro di accoglienza per sistemare e mettere un po' in ordine. Andò in bagno e si lavò il viso, poi si guardò allo specchio: i capelli erano ormai grigi e la sua pelle nera era segnata da rughe profonde; gli occhi scuri erano stanchi e colmi di tristezza e preoccupazione. Il fatto di essere il reverendo del paese e nel contempo un uomo di colore aveva creato qualche problema all'inizio del suo lavoro a West Coburn: aveva iniziato molti anni prima, quando era ancora giovane e la diffidenza delle persone più forte e ingiustificata. Tuttavia era riuscito a spazzare via il pregiudizio in molte delle anime di cui aveva deciso di prendersi cura e dopo tutto quel tempo godeva di fiducia e stima profonda, anche se non era quello a cui puntava principalmente. Lui voleva solo aiutare chi ne aveva più bisogno.
Scese al piano inferiore e scaldo il caffè. Le quattro del mattino. 'Beh jackson' pensò rivolgendosi a se stesso 'Almeno oggi potrai renderti utile'. Bevve in fretta il caffè riscaldato senza troppo entusiasmo e aprì lo sportello del frigorifero per cercare la bottiglia del latte. Quando ebbe finito di fare colazione uscì di casa e inizio a camminare nell'aria fresca: era ancora buio pesto.Raggiunse la chiesa in dieci minuti: il centro di accoglienza era situato nell'edificio accanto, ma prima voleva raccogliersi in preghiera e sistemare alcune cose nella sagrestia. Si inginocchiò davanti all'altare e iniziò a pensare a tutto quello che gli stava capitando: gli incubi delle ultime settimane lo spaventavano, inoltre quella notte il sogno era stato incredibilmente realistico. 'E' quasi come se quel ragazzo sia stato realmente aggredito, come se esistesse realmente' pensò. Mentre pregava con gli occhi chiusi avvertì un rumore alle sue spalle, come un fruscio. Si voltò e vide una sagoma sparire dietro una delle colonne situate ai lati.
"Chi è la?" gridò spaventato il reverendo. Sentì un rumore di passi felpati e dall'ombra sbucò qualcosa: era certamente un uomo e il reverendo Stenson non potè fare a meno di notare che era alto più di due metri.La figura avanzò lentamente verso di lui, ma non riusciva ancora a distinguerne i tratti: era semplicemente terrorizzato, tanto che indietreggiò con le gambe tremanti fino a risalire i gradini dell'altare. L'uomo finalmente si fermò e alla luce delle candele il reverendo vide il suo aspetto: era altissimo e magro, con i capelli scuri e arruffati e gli occhi grandi, completamente neri anche dove avrebbe dovuto esserci il bianco; era nudo e il suo corpo pallido era solcato da una ragnatela di cicatrici che andavano a formare un disegno complesso dal significato oscuro. La cosa che più lasciava perplesso il reverendo era che lo sconosciuto non possedeva attributi sessuali: in mezzo alle gambe era liscio, come una bambola. Il reverendo chiuse gli occhi e si trattenne dall'urlare. 'Sei crollato. Alla fine hai ceduto alla pressione e sei impazzito, hai le allucinazioni' pensò, cercando di calmarsi. Riaprì gli occhi ma la strana creatura era ancora davanti a lui e anzi sembrava aver sentito i suoi pensieri perchè lo guardò fisso -il reverendo era certo che lo stesse fissando anche se non aveva le pupille- e scosse la testa, poi puntò il capo verso l'alto e stese le braccia. Da dietro la schiena si dispiegò un enorme paio di ali lunghe, con le piume e le penne nere come la pece.
"Ma cosa..." urlò il reverendo. 'No. No. No!' pensò, terrorizzato, accasciandosi a terra.
"Alzati in piedi" disse la creatura, con voce pura e soave. L'ala sinistra nel dispiegarsi urtò un lungo candeliere di ferro, il quale cadde con un rumore sordo di ferraglia.
"Cosa..." balbettò il reverendo in preda ad un terrore cieco: cos'era quella creatura? Il suo primo pensiero fu che aveva davanti a se un angelo, per quanto incredibile potesse essere, ma quello non sembrava il classico angelo, piuttosto pareva una creatura uscita dall'inferno.
"Non fermarti a quello che i tuoi occhi ti mostrano" disse la creatura con quella sua voce pura, dell'altro mondo "Quello che hai sempre chiamato angelo non è altro che un'immagine distorta della realtà, un'illusione che voi Uomini avete creato nel corso dei millenni. Esseri biondi con le ali candide: noi non siamo così. Osserva le cicatrici sul mio corpo, osserva la sofferenza e i marchi della vergogna che portiamo addosso per causa Vostra".
"Marchi?" replicò il reverendo, confuso e spaventato, osservando l'impressionante ragnatela di tagli e cicatrici che andava a formare un'intricato disegno.
"Da quando Lui ha creato Voi, proteggerVi dal male e dai pericoli è diventato il nostro compito più importante. Ogni volta che uno di noi fallisce nell'impresa sul nostro corpo si imprime il segno del fallimento. Se tu avessi la capacità di leggere questi segni" e indicò il suo corpo martoriato "comprenderesti la mia storia e quello che non sono riuscito ad impedire, le immani catastrofe che si sono compiute perchè non ho saputo arginarle. Ma ad ogni mio fallimento corrispondono centinaia di successi. Ciò che non sono riuscito ad impedire non è nulla in confronto a ciò che nel corso degli anni sono riuscito ad evitarVi. Questo è il motivo per cui sono qui".
"Sto impazzendo" disse il reverendo.
"Al contrario. Sono qui perchè gli Uomini stanno correndo un pericolo ben peggiore di quelli che siamo riusciti a scongiurare nel corso dei secoli. E per fermare tutto questo ho bisogno del tuo aiuto". il reverendo sussultò. Tutto quello che stava vedendo non poteva essere reale: un angelo mostruoso che gli si manifestava e parlava di pericoli da scongiurare, un angelo che aveva bisogno del suo aiuto. Non era possibile.
"Lo è" disse l'angelo, che evidentemente stava leggendo nella sua mente "E tu sei la chiave".
"La chiave?" domandò stupidamente il reverendo Stenson.
"Il Male si è risvegliato a West Coburn. Lo senti, lo puoi avvertire".
"Io non..." cercò di replicare il reverendo.
"la paura che senti. Gli incubi continui. Stanotte è stato ucciso un ragazzo e tu lo hai visto, hai sentito il suo dolore. Si chiamava Patrick Turner". Al reverendo sembrò di ricevere un pugno sul naso: dunque quel ragazzo era morto per davvero e ora sapeva perchè gli era parso di conoscerlo. Era così. Lui conosceva bene Pat Turner e aveva cercato invano di aiutarlo più di una volta, ma or non ce ne sarebbe stato più bisogno: aveva sentito la sua sofferenza e lo aveva sentito morire.
"Il Male teme tutto ciò che ha a che fare con Lui" continuò l'angelo, cercando pazientemente di spiegare la situazione incredibile a quell'uomo spaventato che aveva di fronte "con Dio. La tua fede ha vacillato negli ultimi mesi, anche se non lo sai, tuttavia è rimasta e il male questo lo ha percepito. Senza volerlo ha stabilito una connessione con la tua anima, per cercare di distruggere questo tuo potere inconsapevole, comunicandoti ogni sofferenza che provocava, trasmettendoti parte del tuo odio. Sta crescendo e non riesce a controllarsi, per questo motivo lo percepisci con tanta chiarezza".
"Il male? Che significa?" urlò il reverendo, arretrando.
"Significa che la tua fede è quello che lo spaventa e involontariamente sta cercando di distruggerla, non riesce a controllarsi. Dio ha un piano per tutti noi, questo lo sai già. E' venuto ilo momento di fare quello per cui sei stato messo qui". Il reverendo sgranò gli occhi: dunque il piano di Dio per lui era questo' aiutare un angelo a debellare un fantomatico assassino?
"Non è un assassino. Non è un Uomo. E' qualcosa di molto peggio, qualcosa che non puoi vedere. Devi credere.".
All'improvviso il reverendo Jackson Stenson rivide Elle stesa nel letto e ricordò le sue parole.Abbi fede sempre. Non dubitare. era questo il piano che dio aveva avuto in mente per Elle? L'aveva tolta a lui perchè nel momento del bisogno ricordasse le sue parole in punto di morte e credesse a tutta quella faccenda assurda? Perchè se c'era un momento in cui avrebbe dovuto credere, era certamente quello. Ma il reverendo Stenson era stanco. l'angelo aveva ragione: per quanto lui ci avesse provato, la sua fede stava ormai vacillando. Credere non gli bastava più, aveva bisogno delle prove. Prove che dimostrassero che tutto quello che gli stava accadendo era vero, che gli mostrassero che Elle era morta per qualcosa. Qualcosa che gli facesse capire di non essere pazzo. Cadde in ginocchio, con le lacrime che gli rigavano il volto: era stremato. Finito. Un tempo era stato un grande uomo, un ministro nero che si era fatto rispettare in un covo di retrogradi pregiudizievoli, ma ora era solo un vecchio stanco, una vago ricordo dell'uomo che era stato.
All'improvviso l'angelo si chinò su di lui e stese verso il suo viso una mano chiusa: stringeva qualcosa.
"Prendilo" disse l'angelo. il reverendo Stenson vide la mano che si schiudeva e osservò cosa conteneva: tra le dita della creatura era adagiato un nastro per capelli color ciliegia, liso e consunto. Il reverendo sentì che il cuore perdeva un colpo: era lo stesso nastro che aveva Elle tra i capelli quando avevano sigillato la bara. Come faceva ad esser lì? Avevano profanato la sua tomba?
"Non essere sciocco" disse l'angelo "Non oserei mai violare il riposo delle spoglie umane. Lui ha voluto che tu avessi quel nastro ed è comparso nella mia mano. ecco la prova che cerchi. Non conosco il piano che Lui aveva in mente per lei e forse un giorno ti sarà manifesto, anche se non è un tuo diritto. per il momento devi farti bastare questo. dio ha voluto che tu lo avessi e l'ha tolto da sotto terra. se vorrai controllare vedrai che la bara è intatta e sigillata, sepolta dove hai deciso tu. ora ti chiedo: mi aiuterai?".
Il reverendo Stenson piangeva a dirotto e baciava il nastro. Elle era in un posto migliore e Dio aveva un piano in mente per lei e lui sapeva che un giorno sarebbero tornati di nuovo insieme. Si alzò lentamente e fissò l'angelo, anche se vedeva offuscato per via delle lacrime. "Si" disse "Ma dovrai spiegarmi che cosa devo fare. Devo sapere cos'ho davanti"."Hai davanti il Male. Puro e semplice. Devi fare una cosa per me".
"Cosa?".
"Ora te lo dirò. ma dovrai fidarti".


Viola Gambon indossava il camice bianco e sedeva ad un tavolo di metallo in una stanza completamente bianca, con un neon appeso al soffitto che irradiava una luce fastidiosa. davanti a lei c'era un uomo seduto, sui trentacinque anni, con i capelli rossi e leggermente stempiato, un viso emaciato e uno sguardo perso nel vuoto, catatonico, con due occhiaie profonde, come se gli avessero passato un sughero bruciato sotto agli occhi. L'uomo indossava una camicia di forza e fissava viola senza dare l'impressione di vederla davvero. Con il camice e i capelli neri che vi ricadevano sopra, l'aria seria e pensierosa, Viola era ancora più bella.
"Reginald" iniziò Viola, rivolgendosi all'uomo che aveva davanti "Lo sai perchè sei qui, in questa stanza?". L'uomo non rispose e non emise nemmeno un suono.
"I dottori mi hanno detto che stanotte urlavi. Sono dovuti entrare nella tua stanza tre infermieri e mi hanno riferito che quando hanno cercato di calmarti hai aggredito uno di loro. lo hai quasi strangolato. Ti ricordi di questo Reginald?". Viola cercava di usare il tono più dolce e comprensivo di cui era capace, ma la realtà è che era profondamente turbata. Il paziente non rispondeva. Reginald Langstorm continuava a fissarla con quel suo sguardo carico di nulla. Ecco, pensò Viola, quello che c'è nei suoi occhi è il Nulla. Non aveva mai avuto quello sguardo scarico, pensò, aveva sempre avuto gli occhi colmi di tristezza, ma mai di Vuoto.
"Reginald" riprovò Viola "Che cos'hai sentito o visto che ti ha spaventato tanto, ieri notte?". Puntò i suoi occhi scuri su Langstorm, ma lui non parve avvertirne il fascino magnetico. Però le sue labbra si mossero. dapprima Viola non capì, poi sentì quello che Langstorm aveva detto: "Lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo, ci cade dentro". Aveva detto quelle parole come se fossero una filastrocca imparata a memoria, senza entusiasmo. Come se stesse recitando una poesia di malavoglia.
"Cosa?" chiese viola "Di che pozzo parli?". Era affascinata dal fenomeno. la frase non aveva apparentemente alcun senso, ma forse aveva trovato il suo nodo gordiano: qualunque cosa volessero dire quelle parole, era chiaro che stavano alla base del disagio che Langstorm provava da molti anni ormai.
"Lo stolto che si sporge per guardare il fondo del pozzo, ci cade dentro" ripetè Reginald.
Per un'altra mezz'ora Viola provò a far parlare Langstorm, ma l'unica cosa che otteneva in risposta era quella filastrocca. Alla fine sospirò, piegò gli angoli della bocca con fare pensieroso e disse all'infermiere che stava di guardia di riportare il paziente nella sua stanza.
Uscì dall'ospedale e si tolse il camice, salì in macchina e si tolse la maglietta bianca che indossava e se ne infilò un'altra, scura, con le labbra degli Stones rosso fuoco stampate sopra e rovinate, con la stampa leggermente scrostata apposta. Si guardò nello specchietto retrovisore e notò quanto era stanca, gli occhi socchiusi. Erano quasi le nove di sera quando arrivò alla tavola calda di Spike e ordinò un piatto un hamburger e una birra. Aveva bisogno di mangiare e di riflettere: Quello che era successo a Langstorm la preoccupava non poco. Langstorm era in cura alla clinica da più di otto anni ormai; quando la madre, ovvero la moglie di Peter Langstorm, si era suicidata inspiegabilmente, Reginald aveva avuto un crollo. era diventato chiuso, sospettoso, non usciva più di casa. Una volta Viola aveva parlato con il padre, lo scrittore Peter, e lui le aveva detto che il figlio era terrorizzato. Ma non aveva detto di più e Viola aveva constatato che anche il padre di Reginald era rimasto molto sconvolto dalla morte della moglie, com'era naturale che fosse. Poco tempo dopo Peter aveva trovato il figlio in casa, sul divano, con i polsi tagliati e lo sguardo vacuo. L'avevano salvato per un pelo e da allora si era chiuso in se stesso, sempre con quello sguardo fisso ma che conteneva un'infinita tristezza, non lo sguardo vuoto e perso che aveva visto quel giorno.
Non aveva più detto una parola dal giorno in cui era stato ricoverato, anni prima e ora era tornato a dire qualcosa. dopo aver quasi ucciso una persona. non aveva mai avuto comportamenti violenti e Viola era preoccupata proprio per questo: qualcosa o qualcuno lo stava spaventando. Il dottor Richardson, il responsabile del reparto, le aveva detto che quando avevano sentito le urla erano accorsi nella sua stanza e lo avevano trovato in preda agli spasmi che urlava qualcosa riguardo ad un certo Crandon. Viola aveva cercato ovunque, ma non c'era traccia di nessun Crandon negli archivi dell'ospedale, quindi non si trattava di un infermiere psicopatico. Nessun Crandon nemmeno a West Coburn e dintorni: chiunque fosse era la causa del nuovo crollo del suo paziente.
mentre pensava a tutto questo sentì una mano che le toccava la spalla. Sussultò e quando si voltò vide che era solo il reverendo Stenson.
"Jackson!" disse lei sorpresa e, alzandosi, lo abbracciò. Lui l'aveva vista nascere ed era un ottimo amico di suo padre.
"Viola, sei sempre più bella ogni giorno che passa" replicò lui, guardandola incantato. Era sempre stato dell'idea che la figlia dello sceriffo Gambon fosse una creatura meravigliosa, un fiore luminoso in un campo pieno di erbe cattive.
"Vorrei che me lo dicessero più spesso" ribattè lei ridendo. Quando rideva era a dir poco bellissima, constatò il reverendo: le labbra le si increspavano e si intravedevano i denti bianchi, mentre gli zigomi si contraevano leggermente e gli occhi le si illuminavano. Ma quello che la rendeva più graziosa era il naso all'insù, coperto di lentiggini, che si arricciava appena quando rideva. era una risata pura, che spazzava via ogni inquietudine. Il reverendo sperava che Dio avesse un grande piano per lei. Ma in quel momento aveva altro a cui pensare, doveva portare a termine il compito che l'angelo gli aveva affidato. Aveva passato la giornata intera a confessare i fedeli e a fare come se nulla fosse, attendendo di poter parlare con Viola la sera. Verso le otto aveva preso il nastro, lo aveva nascosto in una scatola per scarpe e l'aveva messa sul ripiano più alto dello scaffale che c'era nel suo ufficio, di fianco alla sagrestia. Poi era uscito e si era recato alla tavola calda, sapendo che l'avrebbe trovata li dopo le nove: Viola cenava sempre in quel posto finito il lavoro.
"Allora dimmi, come vanno le cose?" chiese il reverendo dopo essersi accomodato a sua volta su uno sgabello e aver ordinato una tazza di caffè.
"Potrebbe andare meglio2 rispose lei, sorseggiando la birra direttamente dalla bottiglia.
"Qualcosa ti turba?".
"Molte cose, per la verità".
"Se vuoi parlarne sai che con me puoi farlo, dopotutto sono il tuo confessore da quando eri bambina. Anche se credo che per te la fede in Dio sia qualcosa di sorpassato".
"Non sorpassato. Sopravvalutato. Ognuno ha bisogno di credere in qualcosa, ma io non sento il bisogno di credere in Dio. Ci sono molte altre cose che mi mantengono viva, più salutari".
"Vedo" disse il reverendo osservando sospettoso la lingua rossa che spuntava dalle labbra scrostate sulla maglietta di lei.
"La musica aiuta" disse lei in tono pratico, cercando di spostare la conversazione su qualcos'altro.
"Ad ogni modo, come va il lavoro?".
"Beh, non come vorrei. Ma non posso davvero parlarti di questo, Jackson. Sono legata anche io dal... Segreto professionale". Il vecchio reverendo rise
di gusto: trovava esilarante definire il suo obbligo al silenzio "segreto professionale". La sua non era una professione, era piuttosto una vocazione, ma lasciò perdere, sapendo che Viola aveva solo fatto una battuta. Era sempre pungente e questo gli piaceva. Però aveva bisogno di sapere di più. Doveva azzardare.
"E dimmi, come sta il figlio del vecchio Langstorm?". Viola rimase immobile con la bottiglia di birra a mezz'aria e voltò lentamente la testa verso il reverendo.
"Prego?" disse.
"Si, il figlio di Langstorm lo scrittore. Come sta Reginald?" disse il reverendo, pur sapendo che Viola non era stupida. Ma non sapeva cos'altro fare.
"Sta bene. Come al solito" rispose Viola, glaciale. Perchè il reverendo voleva sapere di Reginald proprio il giorno in cui era impazzito del tutto?
"Non è vero. E' successo qualcosa. A Reginald, intendo. non chiedermi come lo so, lo so e basta". Il reverendo sperò che la ragazza credesse che uno degli infermieri fosse andato da lui a confessarsi e gli avesse raccontato tutto. Non sarebbe stata la prima volta. L'angelo gli aveva detto che il suo compito riguardava un uomo ricoverato nella clinica della contea. Gli aveva detto chi era e lo aveva indotto ad informarsi. In realtà non sapeva nulla.
"Jackson, non so chi ti abbia raccontato di Langstorm, ma non ne posso parlare. Non posso davvero, mi spiace".
"Viola, quell'uomo è in pericolo, capisci? Il Male..." disse il reverendo.
"Il male non c'entra nulla" sbottò Viola, infastidita "L'aggressività non ha niente a che fare con il diavolo, Jackson. Quell'uiomo ha subito un trauma e quello che lo ha perseguitato in passato è tornato stanotte. Crollo psicotico, punto e basta. E ho già detto fin troppo, discussione chiusa". Viola non voleva aggredire così il reverendo ma aveva avuto una giornata dura. Si scusò e tornò a bere la birra in silenzio, giocando con la forchetta sulla carne. Non aveva più molta fame in quel momento.
'allora è questo che succede' pensò il reverendo 'In quel posto il Male ha trovato Langstorm'.
"Scusa, non volevo essere invadente. ora devo andare... Riguardati, Viola, ti vedo stanca".
"Non volevo essere aggressiva jackson. Ho solo avuto una brutta giornata, ti chiedo scusa".
Il reverendo lasciò Viola sola al bancone, con lo sguardo triste.

Viola era profondamente turbata: cosa voleva il reverendo? Mentre pensava a questo sentì una scossa alla schiena, leggera. 'Che diamine...?' pensò. I suoi pensieri furono interrotti dallo squillo del telefono cellulare. Rispose: "Pronto? Papà, ciao! Come? Stai scherzando? No, aspetta, vengo da te". Si alzò, con gli occhi pieni di lacrime, pensando alla sorte che era toccata a Pat Turner.

Nello stesso momento Jo Blonde si era alzato dal tavolo nell'angolo cui era seduto e aveva pagato il conto. quella sera era troppo stanco per accorgersi di Viola, che era rannicchiata sul piatto e sulla sua birra, nascosta, ma quando le passò vicino avvertì una scossa che gli percorse la spina dorale, ma la scambiò per un brivido. Non si voltò ma la sentì. il giorno dopo avrebbe provato quella sensazione amplificata cento volte, mentre parlava con lo sceriffo Gambon. Jo uscì dal locale proprio mentre Viola rispondeva al telefono.

Il giorno seguente il reverendo Jackson ricevette una nuova visita dell'angelo e gli disse quello che aveva scoperto.
"Molto bene, è come pensavo" disse l'angelo "Il Male vuole qualcosa da Langstorm, qualcosa che lo aiuterebbe a liberarsi. Finchè Langstorm rimane in quella clinica non ci sarà nulla da fare.Sai quello che devi fare". Si, Jackson lo sapeva. Stava per aiutare Dio a liberare West Coburn da qualcosa di orribile.
Era ormai tardo pomeriggio quando il reverendo Jackson salì sul pulmino della parrocchia e mise in moto. Dopo venti minuti era davanti alla clinica psichiatrica della contea. Sapeva che Viola quel giorno si era presa una vacanza. meglio, almeno non poteva sapere che lui era andato li. Comunicò che voleva dare conforto spirituale ad alcuni pazienti e chiese di Langstorm. Sulle prime il dottor Richardson non volle farlo passare, ma poi si chiese come avesse fatto il reverendo a sapere di Langstorm. Se qualcuno aveva parlato era meglio accontentare il reverendo, magari non avrebbe detto niente alla stampa, non che non si fidasse di quell'uomo, ma con il tempo aveva imparato a non fidarsi troppo delle persone. Lo fece passare e disse agli infermieri di farlo entrare, ma di perquisirlo prima. Non aveva niente di sospetto addosso. L'infermiere rimase di guardia alla porta e gli concesse cinque minuti. Al reverendo ne sarebbero bastati molti di meno.
Jackson entrò e vide Langstorm, emaciato e con lo sguardo perso nel vuoto, avvolto nella camicia di forza e seduto al centro della stanza, immobile.
"Ciao Reginald" disse.
"Il Signore è il mio pastore" replicò Reginald, con voce roca.
"Come?" domandò il reverendo. non si aspettava che Langstorm gli avrebbe parlato. Lo credeva catatonico.
"Dio disse ad Abramo: uccidi tuo figlio" continuò Langstorm.
"Reginald, perchè citi la Bibbia?".
"Lo sai qual'è la condizione peggiore di Lucifero?" disse Langstorm freddamente, alzandosi.
"No, io..." balbettò Jackson. Che stava succedendo?
"Era un angelo magnifico, ma questo lo sai. L'Astro del Mattino, la creatura più bella che Dio avesse creato. Ma lui voleva di più, voleva essere lui Dio, perchè si credeva migliore del suo fattore. Fu precipitato sulla terra e si incastrò nell'abisso infernale. Dante lo colloca al centro dell'Inferno, in un lago ghiacciato. Enorme, spaventoso e al buio. Imperatore di un regno che fa paura a tutti, il regno che tutti vorrebbero evitare" ora Langstorm era vicinissimo, la sua bocca era a un centimetro dal viso di Jackson.
"Ecco qual'è il brutto. L'essere più bello e puro trasformato in un mostro, reggitore di un luogo orribile, imprigionato nel buio. Mi ha trovato, reverendo. mi ha trovato e ora devo aiutarlo".
"Chi? Lucifero ti ha trovato?" chiese il reverendo.
"No. lucifero non esiste. Nemmeno Dio. ma chi mi ha trovato, Lui esiste" e detto questo Langstorm si inginocchiò. Il reverendo sapeva cosa doveva fare, ma stava iniziando a dubitare. Allora vide accanto a se l'angelo. Perchè non ci pensava lui? Ma la risposta era chiara: Dio voleva che fosse lui, Jackson Stenson, a farlo. Il reverendo aprì la Bibbia che portava in mano e sfilò il coltello che vi aveva nascosto. Non avevano guardato li dentro mentre l,o perquisivano, forse si fidavano. Tagliò i lacci della camicia di forza. aveva compiuto la sua missione. Langstorm lo colpì con tutta la forza che aveva in corpo e Jackson cadde a terra, poi l'aggressore gli prese il coltello di mano e iniziò a gridare.
Il reverendo vedeva tutto annebbiato e non riusciva ad alzarsi. aveva il naso rotto e gli girava la testa. sentiva langstorm gridare e poi udì la porta della cella aprirsi. Udì l'infermere che urlava mentre Langstorm lo accoltellava e scappava dalla sua stanza. ma si rese conto che non era una stanza , era una cella. E reginald l'aveva appena chiuso dentro. 'Cos'ho fatto?' si domandò.
Spaventato e confuso, si infilò la mano in tasca dove aveva mesos il nastro di Elle. L'aveva tolto dalla scatola dove l'aveva nascosto per portarlo con se e farsi coraggio; il nastro però non c'era. L'aveva perso?
"No, Tesoro2 disse una voce poco distante. Era Elle.
"Elle?" disse Jackson, incredulo "Elle che ci fai qui?".
"Ma io non sono qui. Io sono polvere, amore. Sono morta di un male orribile senza che nessuno potesse aiutarmi e il mio corpo è marcito in una bella cassa di legno
imbottita di velluto". jackson guardò la donna che aveva davanti e urlò: ora vedeva tutto chiaro. Ellle era vestita come il giorno in cui l'aveva seppellito, con un lungo abito nerpo ed era magrissima, più bassa e la sua pelle era marcia, come se fosse carta da parati ammuffita che si stava staccando. Gli occhi non c'erano più e al loro pòsto c'erano lunghi lombrichi che pasteggiavano con la carne rimasta nelle orbite svuotate; i denti erano affilati e non aveva le labbra, le dita erano storte e artigliate. Puzzava come si supponeva che dovesse puzzare la morte e il cranio era quasi esposto, la poca pelle che lo ricopriva scrostata e verdastra.Quella non era Elle.
"No. Ma sono molto di più" disse la non morta Elle e all'improvviso si controrse e cambiò forma. Davanti a lui ora c'era l'angelo.
"Visto, Jackson? Hai visto come è facile manipolare un uomo che ha fede? la fede, solo questo frega voi schifosi esseri Umani. Avete bisogno di credere a tutti i costi in qualcosa. Ti ho accontentato, pidocchioso bastardo. adesso dimmi, come ci si sente a scoprire che il tuo Dio non c'è e non può aiutarti?".
"Chi sei?" urlò disperato Jackson, urtando il muro con le spalle mentre indietreggiava.
"Non l'hai ancora capito?" disse l'angelo, che ora era tornato ad essere la Elle spaventosa di poco prima "Io sono tutto quello che tu hai sempre combattuto. Tra poco potrò uscire e dilagherò sulla Terra. Ego sum captivus. Ma ancora per poco".
"Buon Dio" mormorò il reverendo, cercando di non guardare quel mostro che aveva preso le sembianze della sua defunta moglie e che ora gli alitava in faccia a pochi centimetri di distanza.
"Dio non esiste, Jackson" disse Elle, con voce demoniaca ma fintamente soave "Io si".
Jackson urlò mentre Elle affondava la mano artigliata nel costato e gli frantumava le costole. era un dolore lancinante e percepì l'esatto momento in cui gli artigli gli spappolavano il cuore. 'Mi ha ingannato. Ho liberato un assassino, ho fatto il suo gioco. perdonami Elle'. ebbe il tempo di pensare solo questo, dopodichè, tra atroci dolori, si spense. poco dopo il dottor Richardson apprese della fuga sanguinaria di Reginald ed entrò nella cella. il reverendo era accasciato a terra e Richardson notò un piccolo squarcio sulla camicia nera, in corrispondenza del costato. Sulla pelle, in quel punto, c'era un taglio profondo che sanguinava. Il reverendo era morto.

Nella stanza buia la figura immobile sorrideva. Nell'aria si sentiva l'eco di una risata malvagia. Perchè aveva dovuto fare tutto quello al reverendo? la risposta era semplice: così era molto più divertente. ripensò al dolore dell'uomo nello scoprire di essere stato ingannato. gioiva nel pensare che era riuscito a togliere l'unica cosa che faceva andare avanti il reverendo. la Fede. Gliel'aveva restituita e poi l'aveva tolta di nuovo, prima di farlo morire. Voleva che sapesse che era solo. Solo e dimenticato. e ora il suo servo Langstorm era libero. 'Giochiamo. pedine pronte, Signore e Signori, dame e cavalieri, il giuoco inizia. Ci divertiremo un mondo!'. quelle parole pronunciate dalla voce demoniaca risuonarono nella stanza. 'Sangue e risa. sarà uno spasso'. La sagoma sussultò lievemente. Non vedeva l'ora. Ma la cosa che si nascondeva nel buio, che si nascondeva nel corpo immobile era scontenta: Lei viveva ancora. Ma c'era tempo. E lo Straniero non poteva salvarla ancora per molto.

6 commenti:

  1. Ok. Decisamente mi piace. Però io avrei usato qualcosa di diverso una cosa più teatrale come "le jeu est fait" ecco ^^
    Sai anche molti meno errori si bè qualcuno di distrazione c'è ma molto molto meglio rispetto ai primi capitoli ^__^

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  2. complimenti, più vai avanti più lo stile si affina!

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  3. Per il momento, ho letto solo la "prima parte" (sorry! "^^) ed ho trovato questi "refusi":

    respirò profondamente e si mise seduto sul letto.
    "R" Maiuscola

    era dimagrita a tal punto che non sembrava quasi più una donna
    Secondo me, meglio "da non sembrare".

    ma ne la paziente ne tantomeno il reverendo avevano voluto accettare.
    Non dovrebbe essere "né... né..."?

    "Ti prego non prenderla con te. Non Ancora, ti prego". era troppo anche per lui. se Dio era così grande
    "Era", con la "E" maiuscola; "Se", con la "S" maiuscola.

    ad aiutare i più deboli in suo nome? ma sapeva la risposta,
    "Ma", con la "M" maiuscola.

    abbracciato al corpo esanime di sua moglie. poi era uscito ed era andato in chiesa a pregare
    "Poi", con la "P" maiuscola.

    Scese al piano inferiore e scaldo il caffè.
    Scaldò.

    le immani catastrofe che si sono compiute
    Catastrofi.

    E' venuto ilo momento di fare quello per cui sei stato messo qui".
    Errore di digitazione: ilo -> il.

    per il momento devi farti bastare questo. dio ha voluto che tu lo avessi e l'ha tolto da sotto terra. se vorrai controllare vedrai che la bara è intatta e sigillata, sepolta dove hai deciso tu. ora ti chiedo: mi aiuterai?".
    "Per" con la "P" maiuscola; "Dio" con la "D" maiuscola e "Se" con la "S" maiuscola.

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  4. [Erano quasi le nove di sera quando arrivò alla tavola calda di Spike e ordinò un piatto un hamburger e una birra.]
    "Ordinò un piatto un hamburger e una birra"?!? Credo ci sia un "piatto" di troppo...
    O intendevi dire qualcosa tipo: "un piatto di patatine, un hamburger e una birra"? in questo caso -personalmente- mi suona meglio "ordinò un hamburger con patatine e una birra"...

    [Reginald aveva avuto un crollo. era diventato chiuso]
    "Era" con la "E" maiuscola.

    [quando rideva. era una risata pura, che spazzava via ogni inquietudine.]
    "Era" con la "E" maiuscola.

    ["Potrebbe andare meglio2 rispose lei, sorseggiando la birra direttamente dalla bottiglia.]
    Errore di battitura: "Potrebbe andare meglio".

    [Il vecchio reverendo rise
    di gusto:]
    Errore di battitura: sei andato a capo nel punto sbagliato... =)

    [Viola non voleva aggredire così il reverendo ma aveva avuto una giornata dura.]
    Metterei una virgola prima del "ma".

    ['allora è questo che succede' pensò il reverendo 'In quel posto il Male ha trovato Langstorm'.]
    "Allora" con la "A" maiuscola, mentre "in quel posto" dovrebbe essere con la "i" minuscola.

    [quella sera era troppo stanco per accorgersi di Viola, che era rannicchiata sul piatto e sulla sua birra, nascosta, ma quando le passò vicino avvertì una scossa che gli percorse la spina dorale, ma la scambiò per un brivido.]
    "Quella" con la "Q" maiuscola; inoltre, la frase risulta poco scorrevole, ma non saprei come consigliarti... Lascio la parola

    [Non si voltò ma la sentì. il giorno dopo...]
    Metterei una virgola prima del "ma"; "Il" con la "I" maiuscola.

    [Finchè Langstorm rimane in quella clinica non ci sarà nulla da fare.Sai quello che devi fare".]
    Manca lo spazio dopo il punto "...nulla da fare. Sai..."

    [Sapeva che Viola quel giorno si era presa una vacanza. meglio, almeno...]
    "Meglio" con la "M" maiuscola.

    ["Lo sai qual'è la condizione peggiore di Lucifero?"]
    ["Ecco qual'è il brutto..."]
    "Qual è" senza apostrofo.

    [Non avevano guardato li dentro mentre l,o perquisivano, forse si fidavano. Tagliò i lacci della camicia di forza. aveva compiuto la sua missione.]
    Errore di battitura: la virgola che divide "lo"; "Aveva" con la "A" maiuscola.

    [Il reverendo vedeva tutto annebbiato e non riusciva ad alzarsi. aveva il naso rotto e gli girava la testa. sentiva langstorm gridare e poi udì la porta della cella aprirsi.]
    "Aveva" con la "A" maiuscola; "Sentiva" con la "S" maiuscola.

    [Udì l'infermere che urlava mentre Langstorm lo accoltellava e scappava dalla sua stanza. ma si rese conto che non era una stanza , era una cella.]
    "Ma" con la "M" maiuscola (anche se io metterei un punto e virgola al posto del punto); errore di battitura: lo spazio prima della virgola "...una stanza, era..."

    [Spaventato e confuso, si infilò la mano in tasca dove aveva mesos il nastro di Elle.]
    Errore di battitura: "messo".

    ["No, Tesoro2 disse una voce poco distante. Era Elle.]
    Errore di battitura: "No, Tesoro".

    [Ho sforato con i caratteri (4096), continua nel prossimo post...]

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  5. ["...il mio corpo è marcito in una bella cassa di legno
    imbottita di velluto". jackson...]
    Errore di battitura: sei andato a capo nel punto sbagliato... =)
    "Jackson" con la "J" maiuscola.

    [Ellle era vestita come il giorno in cui l'aveva seppellito, con un lungo abito nerpo ed era magrissima, più bassa e la sua pelle era marcia, come se fosse carta da parati ammuffita che si stava staccando.]
    Errore di battitura: "Elle" con due sole "l"; "seppellita" è una donna; errore di battitura: "nero"; nota generale: l'intero periodo non è scorrevole (soprattutto nella descrizione di Elle), ma non saprei come consigliarti.

    [Gli occhi non c'erano più e al loro pòsto]
    Errore di battitura: "posto".

    [la poca pelle che lo ricopriva scrostata e verdastra.Quella non era Elle.]
    Errore di battitura: manca lo spazio tra i due periodi, dopo il punto.

    ["No. Ma sono molto di più" disse la non morta Elle e all'improvviso si controrse e cambiò forma.]
    Non bastava una semplice virgola? Magari dei puntini di sospensione alla fine: "No, ma sono molto di più..."; errore di battitura: "contorse".

    ["Visto, Jackson? Hai visto come è facile manipolare un uomo che ha fede? la fede, solo questo frega voi schifosi esseri Umani. Avete bisogno di credere a tutti i costi in qualcosa. Ti ho accontentato, pidocchioso bastardo. adesso dimmi, come ci si sente a scoprire che il tuo Dio non c'è e non può aiutarti?"]
    Due maiuscole "saltate": "La fede" e "Adesso dimmi".

    [Jackson urlò mentre Elle affondava la mano artigliata nel costato e gli frantumava le costole. era un dolore lancinante e percepì l'esatto momento in cui gli artigli gli spappolavano il cuore. 'Mi ha ingannato. Ho liberato un assassino, ho fatto il suo gioco. perdonami Elle'. ebbe il tempo di pensare solo questo, dopodichè, tra atroci dolori, si spense. poco dopo il dottor Richardson apprese della fuga sanguinaria di Reginald ed entrò nella cella. il reverendo era accasciato a terra e Richardson notò un piccolo squarcio sulla camicia nera, in corrispondenza del costato. Sulla pelle, in quel punto, c'era un taglio profondo che sanguinava. Il reverendo era morto.]
    Altra "morìa" di maiuscole: "Era un dolore"; "Perdonami Elle"; "Poco dopo il dottor"; "Il reverendo era accasciato".

    [era molto più divertente. ripensò al dolore dell'uomo]
    [nello scoprire di essere stato ingannato. gioiva nel pensare]
    [Solo e dimenticato. e ora il suo servo Langstorm era libero. ]
    ['Giochiamo. pedine pronte]
    [Ci divertiremo un mondo!'. quelle parole pronunciate ]
    ['Sangue e risa. sarà uno spasso'.]
    Sempre le Maiuscole... =)
    Inoltre: "ed ora" -per me- suona meglio.

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  6. Molto, molto interessante la storia. Mi piace molto il tuo blog.

    Te sigooooo! :)

    Un bacii

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